Non c’è organizzazione che possa funzionare senza chiarezza della linea gerarchica, senza sapere chi fa cosa e chi prevale su chi. Non c’è organizzazione che possa salvarsi da devianze e degenerazioni se al potere di comando non corrisponde la responsabilità e, di converso, se la responsabilità non corrisponde ad un potere. Nominare dei commissari, ovvero sostituire la linea gerarchica con un accentramento di potere e responsabilità, può risolvere un problema, ma può diventare a sua volta un problema.
Prendiamo il caso del Generale Francesco Paolo Figliuolo. Esperto di logistica, ha dato prova non buona, ma eccellente nell’organizzare la vaccinazione di massa. Organizzazione perfetta, file ordinate e veloci, rari i casi di intemperanze o sprechi di tempo. Dovrebbe essere normale, ma guardate quel che succede -per dirne una- nel rilascio dei passaporti e ricordiamoci che un lavoro ben fatto va apprezzato anche perché non consueto. Ma in quel caso era indubbio che ci si trovasse davanti ad una emergenza e che dovessero essere approntati strumenti altrettanto d’emergenza. Ora il generale Figliuolo è commissario per l’alluvione in Romagna. Escluso che si discutano le sue capacità, apprezzata la continuità con le scelte del governo Draghi, in che consiste l’emergenza? I giorni terribili dell’alluvione sono alle spalle e, dopo due mesi, non si tratta di approntare i soccorsi. Le “missioni” sono due: a. fare in modo che dopo l’efficienza dei soccorsi non ci sia il vuoto negli accertamenti dei danni e nella ricostruzione di ciò che è andato perso; b. eseguire i lavori per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua e delle infrastrutture. Due “missioni” che dovrebbero essere (state) assolte dalle istituzioni amministrative esistenti. Nominare un commissario non tappa una falla improvvisamente apertasi, ma sfiducia l’organizzazione istituzionale “normale”.
È solo un esempio, perché molti altri se ne potrebbero fare (ci sono sistemi sanitari commissariati da decenni, che per la durata segnalano la necessità di commissariare il commissariamento). Nessun sistema istituzionale è perfetto, sicché metterli costantemente a punto è la normalità. Non è normale codificare linee di comando per poi puntualmente derogarle. Non lo è accentrare le competenze e i poteri nel mentre si pretende di decentrarli ancora di più. Anche perché in questo bailamme va a finire che si smarrisce la riconoscibilità sia del potere che della responsabilità, non sapendo più chi fa cosa, chi prevale su chi e chi ne risponde. Nel caso delle acque siamo arrivati all’assurdo di un commissario nazionale che sovraintende a commissari locali, nel mentre si pretende che la faccenda sia di competenza regionale.
Né ha alcun senso pensare di affrontare la contraddizione rafforzando il mandato in capo a chi governa, perché i presidenti delle Regioni sono già eletti direttamente, ma non per questo (come si è visto) non possono essere scavalcati dai commissari. Affiancare il regionalismo ancora più marcato con una specie (imprecisata) di presidenzialismo governativo, quindi, non è un modo per trovare un equilibrio, ma per cuocere lo stufato di montone mettendoci anche la rana pescatrice e la liquirizia.
A taluno potrà sembrare un tema adatto a perditempo che si suppongono cultori degli equilibri e funzionamenti istituzionali, ma giusto ieri, sul Corriere della Sera, il prof. Sabino Cassese non ha lanciato un allarme, ma direttamente un’accusa: molti decreti legge -che fanno del governante un legislatore- sono come la minestra di Gian Burrasca, fatta con la risciacquatura dei piatti: sovrapposti, scoordinati, incoerenti, prolissi e non funzionanti. E di Cassese non si può dire che non sia cultore della materia o che sia prevenuto contro il governo in carica.
Dietro tutto questo c’è la voragine del procedere per proclami e senza capacità esecutiva. Parole e fatti che divorziano. Sarebbe un tema per la politica, ove esistesse e non si dedicasse alle suggestioni anziché alla realtà.