Parliamo dei minorenni abbandonati o che la giustizia ha ritenuto di sottrarre alle famiglie. La delicatezza contabile e istituzionale non toglie nulla a quella umana. Quindi cominciamo col dire che qualsiasi minore sia stato abbandonato o debba essere allontanato da familiari che siano per lui un pericolo, dev’essere sostenuto e protetto al meglio e a cura della spesa pubblica. Quale che sia la provenienza del ragazzino. Solleviamo il problema perché non ci sembra si faccia nel necessario migliore dei modi e perché i conti non tornano.
Quel che pochi sanno è che il costo di questi sostegni ricade sui Comuni di residenza. Sono anni che il sindaco di Sant’Angelo Lomellina, Matteo Grossi, prova a richiamare l’attenzione su questa assurdità. Ma la politica mostra d’essere poco interessata. Quasi che quella spesa incontrollata sia un bene in sé. La cosa aveva un senso, forse, nell’era dei viaggi in carrozza: la popolazione era stanziale e la municipalità conosce meglio di altri i guasti e i fasti del proprio borgo. Ma oggi ci si sposta, si arriva dall’estero, si vive dove neanche si è conosciuti, talché la municipalità ne sa quanto la nazionalità, ovvero poco e niente. In compenso mettere sul conto dei Comuni il pagamento delle rette, relative al mantenimento, non ha alcun senso e rischia di schiantare bilanci assai gracili.
Il che ci porta alla questione dei soldi: per due casi di questo tipo il Comune di Sant’Angelo spende 60.363 euro l’anno, ricevendo indietro dalla Regione Lombardia un terzo della spesa; la stessa Regione, come si può leggere nel suo sito, calcola in 100 euro la retta quotidiana media da pagare. Significa che alla spesa pubblica un minore costa mediamente 36.500 euro all’anno. E qui c’è un primo problema, perché quella cifra è superiore alla dichiarazione dei redditi della gran parte delle famiglie italiane, che oltre ai figli mantengono anche i genitori.
Nel 2022 i minori da ospitare e mantenere in Lombardia erano 3.250. La sola Milano ne ha attualmente in carico 1.300, il doppio dell’anno scorso. E sono stati destinati a 866 “comunità”, che incassano le rette e si trovano anche in altre Regioni, perché il problema è nazionale. Se quei minori fossero stati ospitati per l’intero anno, significherebbe che ogni “comunità” ospita 3,7 ragazzi. Conosco famiglie che hanno un numero più alto di bambini in affido. Ma anche a considerare permanenze inferiori, anche a raddoppiare la media degli ospiti, è evidente che non stiamo parlando di istituti specializzati e attrezzati, con ben maggiore capienza. Il che, forse (e voglio sperare), spiega l’alto costo unitario.
Sempre Regione Lombardia ha stabilito un maggiore stanziamento – pari a 1 milione – per compensare i Comuni che non reggono la spesa. Dividendo quella cifra per i giorni dell’anno e i bambini da accudire, ne deriva per i Comuni un incasso pari a 84 centesimi al giorno, che vanno a cumularsi al terzo già coperto. Quindi spendono 100 e ricevono 34. Non ha senso.
Siccome quel che più è importante sono i bambini, le cose da farsi – qui, ora, subito – sono: a. centralizzare l’intera questione; b. predisporre istituti appositi, con personale adeguatamente preparato; c. controllarli a cura di soggetti indipendenti dagli stessi istituti, il che è impossibile se le “comunità” si contano a migliaia; d. in questo modo fornendo tutto il possibile sostegno ai minorenni e abbattendo i costi unitari con economie di scala (a cominciare dall’alloggio e dal vitto).
Non voglio neanche prendere in considerazione l’ipotesi che quel fiume di spesa, cui i Comuni sono costretti e sul quale non hanno il benché minimo controllo, sia destinato ad assistere più gli assistenti che gli assistiti. Sarebbe orribile. Ma un sistema tanto disfunzionale non è in grado di dare quel che è necessario. Ancora una volta, l’aspetto contabile si rivela quindi il faro più efficace per seguire il sentiero dell’umanità e abbandonare il vicolo cieco dell’ipocrisia.