Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza passata, ma in quanto uomo. Uomo e basta. Se era un modo per distinguersi dal coro del cordoglio sono state parole subdole. Se, come sembra, erano parole sincere, sono state parole emblematiche. Emblematiche di un assurdo senso di colpa collettivo che da anni, in forma crescente, caratterizza le élite occidentali. Élite di un Occidente che sembra trovare una propria identità non nell’atto di rivendicare ciò che è, ma nell’atto di scusarsi per ciò che è stato.
Ci si scusa, afflitti, per il colonialismo, per il fascismo, per il comunismo, per il cambiamento climatico, per la globalizzazione, per la pedofilia, per la prevaricazione di genere, per l’abitudine di mangiare carne… Comportamenti spesso frutto di processi secolari che ci hanno indotto un tempo a considerare normale quel che, col tempo, oggi consideriamo anormale e spesso inaccettabile. Ma il senso comune non basta. Non basta prendere atto dell’avvenuta metamorfosi di valori, morali, etiche e norme di legge. Bisogna cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa per le azioni dei nostri nonni come, eventualmente, del nostro vicino di casa.
Ne discendono il trionfo della “cancel culture”, l’esplosione dell’ideologia “woke” che dalla giovane società statunitense si sono fatte sorprendentemente largo negli atenei e nei salotti della Vecchia Europa. Ne discendono il culto delle minoranze e il senso si spaesamento e di colpa delle maggioranze. Ne discende una società afflitta, dove la responsabilità penale non è più personale ma collettiva e dove la Storia non è più oggetto di studio ma motivo di biasimo e di vergogna.
Prendiamo la questione di genere. Abbiamo vissuto per millenni in una società patriarcale e per millenni ci siamo riconosciuti in una Chiesa che con Sant’Agostino considerava la donna “l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”. In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.
La civiltà cambia, progredisce. Ma cambia a progredisce lentamente, perché lento é il processo di sostituzione di consuetudini e valori vecchi con consuetudini e valori nuovi. Eppure il cambiamento c’è stato, e c’è stato grazie all’affermazione del principio liberale che ha messo al centro la persona in quanto tale. La persona, il singolo cittadino indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, in quanto titolare di diritti incomprimibili ed universali. È per questo che di fronte al mostruoso martirio della povera Giulia la reazione di chi si scusa in quanto uomo finisce per disconoscere il processo di revisione culturale che indiscutibilmente c’è stato, per offendere la stragrande maggioranza di uomini che mai leverebbero una mano su una donna e per relativizzare la responsabilità personale di quell’unico uomo che vigliaccamente l’ha uccisa.