La scossa di Draghi all’Ue

La scossa di Draghi all’Ue

Educazione, ricerca, formazione, energia, dazi, Cina, mercato unico, investimenti, transizione ecologica, intelligenza artificiale, Stato sociale e debito pubblico. Ruota attorno a queste parole l’intervento che Mario Draghi ha fatto ieri al Parlamento di Strasburgo davanti alla conferenza dei presidenti di commissione. Il terzo confronto con i rappresentanti delle principali istituzioni Ue, dopo quelli avuti con il collegio dei commissari e con l’Ecofin. Ed è proprio agli eurodeputati che l’ex premier ha rivelato di aver lanciato una stoccata ai ministri delle Finanze, dunque ai governi, nell’incontro di sabato allo stadio di Gand: «Mi hanno chiesto qual è l’ordine in cui queste riforme andrebbero fatte – ha raccontato Draghi –. Io non ho idea di quale sia l’ordine, ma posso dire solo una cosa: per favore fate qualcosa. Scegliete voi cosa, ma fatelo. Non potete passare altro tempo dicendo di no a tutto».

Chi lo ha ascoltato ha colto un messaggio indirizzato in particolar modo al governo tedesco, anche se l’ex numero uno della Bce non ha citato per nome nessuno dei ministri. Al di là di questo dettaglio, il suo ragionamento ha fatto trasparire una visione dell’Europa dai tratti federalista, soprattutto quando – in risposta a chi gli ricordava che spesso negoziare con i governi è difficile – ha invitato gli eurodeputati a non abbassare la testa. «Il Parlamento europeo è molto più ambizioso dei vari Consigli e se posso permettermi un consiglio, dovreste mantenere questa ambizione. Spero che gli altri vi seguiranno». Nel futuro immediato bisognerà prendere «decisioni cruciali» che comporteranno «discussioni difficili» e che richiederanno «alle nostre istituzioni e ai governi nazionali di fare scelte difficili». Ma si tratta di decisioni fondamentali perché «determineranno la capacità dell’Europa di tenere il passo con i suoi concorrenti globali negli anni a venire».

Draghi, su mandato di Ursula von der Leyen, sta lavorando a un rapporto sulla competitività che sarà presentato dopo le elezioni e che servirà da base di lavoro alla prossima Commissione. Ma, a giudicare dai suoi interventi, «il livello di ambizione» del suo lavoro sembra destinato ad andare al di là della questione competitività. Dalle sue parole emerge una chiara visione dell’Unione europea che a suo modo di vedere è chiamata a fare passi decisi e decisivi in avanti per non rimanere indietro. Ma lui stesso ha avvertito chi coltiva aspettative eccessive: «Io non ho la bacchetta magica”. Piuttosto bisogna definire «il minimo comune denominatore» per «ritrovare la capacità di agire insieme nell’interesse collettivo». Il problema è che la ricerca del minimo comune denominatore, soprattutto tra i governi, spesso si trasforma in un gioco al ribasso.

Anche in un altro passaggio del suo intervento Draghi è sembrato lanciare un messaggio alla Germania e agli altri Paesi che hanno puntato i piedi sulla riforma del Patto di Stabilità. Sul compromesso uscito dal negoziato traspare un giudizio piuttosto critico perché le nuove regole non sembrano favorire la competitività, che richiede una mole enorme di investimenti privati e pubblici. «Qual è il livello di debito pubblico tollerabile? Quello degli Stati Uniti (circa il 123% del Pil, ndr) oppure il 60% previsto dal vecchio e dal nuovo Patto di Stabilità?». Una domanda alla quale Draghi ha indubbiamente una sua risposta. C’è poi la questione del debito comune a livello europeo e qui ha rivelato nuovamente di aver avuto un acceso confronto con un ministro: «All’Ecofin ho menzionato un fondo dedicato – ha raccontato agli eurodeputati – e uno subito mi ha detto che allora serve una vera unione fiscale. A me non importa: scegliete qualsiasi cosa risulti la migliore, anche un mix, ma fate qualcosa».

Oltre al confronto con gli Stati Uniti, ha fatto poi un riferimento all’altro attore globale con il quale l’Europa dovrebbe cercare di competere meglio: la Cina. «Come può l’Ue continuare con i dazi sull’import di auto dalla Cina al 10%, quando gli Usa hanno il 27% e Donald Trump ha già detto che, se eletto, li porterà al 67%?». Pechino «negli ultimi 15 anni ha largamente sovrainvestito in molte cose, una delle quali sono le auto elettriche, ma anche le tecnologie legate alle batterie, sussidiando tutto. Ora hanno un’immensa sovracapacità produttiva che scaricano su di noi».

Sul piano interno ha poi insistito sulla mancanza di formazione che provoca una carenza di forza lavoro, sulla scarsità dei finanziamenti privati alla ricerca, sull’importanza dell’educazione per garantire l’innovazione e sulla necessità di rivedere il funzionamento del mercato elettrico «perché il prezzo resta alto nonostante il gas sia sceso». Insomma, secondo Draghi le riforme non sono più rinviabili. Ma vanno fatte «con il consenso dei cittadini».

La Stampa

Share