Il mito della Resistenza e la concretezza del fascismo putiniano

Il mito della Resistenza e la concretezza del fascismo putiniano

Ridurre il 25 aprile alla celebrazione della Resistenza che fu sarebbe inutile, piuttosto riduttivo e sostanzialmente falso. A dimostrazione della tesi ci limitiamo a citare le teorie di tre storici di sinistra, indiscutibilmente “antifascisti“. Ha osservato Renzo De Felice che “il movimento partigiano si fece moltitudine pochi giorni prima della capitolazione tedesca, quando bastava un fazzoletto rosso al collo per sentirsi combattente e sfilare con i vincitori”. Ha scritto Romolo Gobbi ne Il mito della Resistenza che “certamente l’insurrezione servì ai partiti del CLN per spartirsi le principali cariche pubbliche prima dell’arrivo degli Alleati: a Torino il sindaco toccò ai comunisti, il prefetto ai socialisti, il questore agli azionisti e il capo della provincia ai democristiani. Anche da questo punto di vista l’insurrezione fu dannosa, perché instaurò il precedente della lottizzazione tra i partiti antifascisti, che caratterizzerà tutta la storia politica della Repubblica nata dalla Resistenza”.

Tesi in qualche modo fatta propria da Ernesto Galli della Loggia, che l’ha messa così: “La maggioranza della popolazione non crede alla mitologia della Resistenza anche perché sa bene di non avervi partecipato; non crede che siano stati i nostri pochi antifascisti a vincere il fascismo, non si lascia ammaliare dalla verità ufficiale. Sa, però, in omaggio alla grande e cinica intelligenza italiana, che bisogna far finta di crederci”. Detta con sintesi brutale, a vincere la guerra non furono i partigiani ma gli Alleati; quanto agli italiani, furono in larga maggioranza fascisti finché gli convenne e divennero antifascisti per analoga convenienza. Affermazione, naturalmente, che riguarda i grandi numeri e che nulla toglie al coraggio di chi sin all’inizio avversò il Regime pagandone le relative conseguenze. Ma allora, se così stanno le cose, che senso ha celebrare il 25 aprile? Se l’obiettivo è contrastare un rigurgito del fascismo in Italia, beh, chi scrive, in accordo con Leonardo Sciascia (“il più bell’esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è”), non ci crede.

Non crediamo che la democrazia italiana sia così debole, né crediamo che partiti che pure hanno le loro radici nella cassa mortuaria di Benito Mussolini (FdI, per capirci) possano oggi rappresentare un pericolo per la tenuta democratica del Paese. Crediamo, però, in sintonia con molti osservatori internazionali, che il fascismo sia un fenomeno multiforme e che possa celarsi anche laddove l’antifascismo e/o l’anti-nazionalsocialismo si fa martellante retorica. La Federazione Russa di Vladimir Putin, ad esempio. Il quale, né più e né meno come Stalin, dà di nazista ai propri avversari, indifferente al fatto che il presidente Zelensky sia ebreo e che i partiti neonazisti in Ucraina non abbiano mai superato il 3% dei consensi.

La Federazione russa di Putin, che nega il pluralismo, controlla i mezzi di informazione, reprime il dissenso, uccide gli oppositori e sottomette i popoli limitrofi in ossequio ad una retorica fondata sull’eccezionalità e sulla spiritualità nazionali russe. E allora, se così stanno le cose, e se è vero, come è vero, che l’intero mondo liberale e democratico è in questa fase storica ingaggiato contro la Federazione russa di Vladimir Putin e contro le autocrazie e le teocrazie che la sostengono, c’è un solo modo per dare un senso realmente compiuto alle celebrazioni del 25 aprile: farne l’occasione per diffondere nel Paese quei sentimenti di solidarietà nei confronti del popolo ucraino che, purtroppo, sembrano scarseggiare.

 

Huffington Post

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