La differenza tra quantità e qualità nel lavoro parlamentare

La differenza tra quantità e qualità nel lavoro parlamentare

I numeri, a volte, mentono. Soprattutto quando ad essere affidato ai numeri è il giudizio sulla qualità politica del ceto parlamentare. Nell’epoca dei ragionieri, ad esempio, sembra aver acquisito un valore incontestabile la percentuale delle presenze in Aula di senatori e deputati. Il meritorio sito OpenPolis, utilissimo per conoscere l’attività parlamentare formalmente svolta da ciascun eletto dal popolo, è incline ad attribuire un particolare valore a questo dato. E i peones, naturalmente, si adeguano.
Avendo avuto l’onore di ricoprire la funzione senatoriale nella scorsa legislatura, posso testimoniare che, allora come oggi, vi erano colleghi i quali, avendo deciso di scalare la classifica dei più presenti in Aula, quasi mai mancarono una seduta, per lo più trascorrendo il tempo a giocare ai giochi elettronici sull’iPad, o a conversare telefonicamente con i propri cari, o a cazzeggiare col vicino di scranno. Erano presenti, certo. Ma non avendo contezza alcuna di quel che veniva discusso è difficile sostenere che tali presenze in Aula avessero una qualche attinenza con l’articolo 54 della Costituzione, quello che prescrive disciplina e onore ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche.
Eppure, i media sulla vicenda delle presenze, o per meglio dire delle assenze, in Aula inzuppano il pane da almeno trent’anni. Lunedì scorso è stato il turno della brava Milena Gabanelli. “Parlamentari assenti, ma sempre giustificati”, era il titolo del suo articolo sul Corriere della Sera. Dove per “giustificati” si intendevano anche i parlamentari assenti dall’Aula perché presenti in Commissione. Il che, francamente, è un po’ troppo, essendo le commissioni parlamentari il luogo dove, ben più dell’Aula, ormai interpretata come il palcoscenico naturale di un conflitto rituale ad uso dei Tg e dei social network, davvero si esercita la funzione politica. Cioè a dire, ci si confronta sul merito delle questioni alla ricerca di una mediazione. È per questo, per non incoraggiare sterili arroccamenti o inutili esibizionismi, che, a differenza dei lavori d’Aula, i lavori in commissione non prevedono la trascrizione stenografica di quel che viene detto, ma solo un resoconto sommario.
Nel gran mazzo degli assenteisti sono così stati iscritti anche i parlamentari “in missione”, cioè quelli impegnati nei lavori degli organismi internazionali di cui fanno parte, o quelli occasionalmente chiamati a svolgere la propria funzione fuori da Montecitorio o da Palazzo Madama. Assenze inevitabili, non avendo evidentemente alcuno di loro ricevuto il dono dell’ubicuità. Personalmente, mi capitato più volte di non partecipare ai lavori d’Aula perché impegnato in iniziative politiche nel mio collegio elettorale o in incontri fuori dal Palazzo o lontano da Roma. Ma non per questo ho mai pensato di aver disonorato il mandato conferitomi dagli elettori. Anzi. Ho ritenuto, invece, di onorarlo senz’altro quando mi è capitato di sollevare in Aula questioni importanti che venivano trascurate o di far approvare emendamenti o disegni di legge che consideravo rilevanti, o di migliorare i decreti del governo ricoprendo il ruolo di relatore di un ddl. È capitato, ma onestamente è capitato poche volte. Eppure le statistiche di OpenPolis non fanno distinzioni: conta quanti emendamenti firmi, anche se nessuno è stato approvato; quanti disegni di legge depositi, anche se sono rimasti tutti indiscussi; quante interrogazioni parlamentari presenti, anche se nessun ministro ti ha mai risposto.
Ebbene, pur comprendendo il valore istituzionale della presenza fisica del parlamentare in Parlamento e pur sapendo che gli assenteisti, quelli veri, purtroppo esistono, credo che quantità e qualità vadano raramente a braccetto e quasi mai coincidano nell’attività parlamentare. Quel che conta, o dovrebbe contare, è l’efficacia dell’azione politica. Cioè la concreta capacità del singolo parlamentare di incidere sul processo legislativo. È questa capacità che meriterebbe d’essere censita, ma per farlo occorrerebbe un lavoro che buona parte dei giornalisti non sa, non può o non vuole più fare. Per esempio seguire con metodo i lavori delle commissioni parlamentari.
PS
Paventando il retropensiero di qualche lettore, ho controllato su OpenPolis la percentuale delle mie presenze in Aula durante la scorsa legislatura. Sono state l’85,4%, cui va sommato il 10,5% di missioni relative all’incarico di membro dell’Assemblea parlamentare della Nato. Totale: 95,9%. Che vergogna!
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