Evviva il diario cartaceo

Evviva il diario cartaceo

Caro Direttore,

mercoledì scorso, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato la messa al bando degli smartphone nelle classi fino alla scuola secondaria di primo grado e la reintroduzione, per gli studenti, del diario cartaceo invece di quello elettronico. I giornali che hanno ripreso la notizia l’hanno fatto con un taglio critico, come se tali decisioni fossero frutto di uno spirito ottusamente reazionario ostile alla modernità. Un’accusa ingenerosa, dal momento che il ministro aveva premesso che intende mettere l’Intelligenza artificiale al servizio dell’Istruzione. Proviamo, perciò, a ragionare nel merito sul senso pratico e simbolico delle due decisioni in questione.

Un recente studio dell’Università Bocconi ha affermato che il 23% degli studenti usa abitualmente il proprio smartphone durante le lezioni per copiare i compiti, chattare, guardare video, giocare. Considerando che in nessuna scuola risulta che gli smartphone siano strumento didattico, possono solo essere motivo di distrazione. Se a ciò si aggiunge il fatto che le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Unesco, la Commissione europea, i principali centri di ricerca occidentali, fino alla commissione Istruzione del Senato italiano hanno, dati scientifici alla mano, individuato nell’abuso di smartphone la principale causa del crollo verticale delle capacità mentali dei giovani e della crescita esponenziale dei loro disturbi di ordine psicologico (depressione, ansia, aggressività, squilibri alimentari, tendenze suicidarie), l’astinenza dall’uso di tali dispositivi almeno in orario scolastico mi sembra una scelta razionale. E pertanto condivisibile. Quanto alla reintroduzione del diario cartaceo, ha valore simbolico. E i simboli, lo sappiamo, hanno una loro potenza pedagogica.

Dall’Università di Harvard alla Open University di Israele, dall’Università di Washington alla Norvegian University of Science and Technology, dall’Università di California alla tedesca Ulm passando per l’Economist sono tutti giunti alle medesime conclusioni: scrivere a mano e leggere su carta sono pratiche insostituibili. E non solo perché tutte le ricerche scientifiche dimostrano che chi studia utilizzando questi, antichi, metodi ottiene risultati del 20-30% superiori rispetto a chi utilizza strumenti digitali. Sono insostituibili perché la loro pratica potenzia l’emisfero sinistro del cervello, quello che preside al pensiero logico-lineare. Farne a meno significherebbe indebolire le capacità mentali dei giovani e renderli sempre più ostaggio della componente “emotiva” del loro cervello.

Se consideriamo che negli ultimi 10 anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti sono aumentati del 357% e i casi di disgrafia del 163%, e se a questo aggiungiamo che il rapporto Invalsi dello scorso anno ha certificato che la metà dei ragazzi prossimi al diploma non era in grado di comprendere il senso di un testo scritto, ci rendiamo conto che siamo di fronte ad un problema gigantesco. Non sarà certo la reintroduzione del diario cartaceo a consentirci di superarlo, ma reintrodurre il diario è senz’altro un modo per segnalare l’esistenza del problema. Anche per questo, in quanto Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, ho di recente costituito l’Osservatorio Carta, Penna & Digitale. L’ho fatto con due obiettivi: continuare a studiare l’applicazione che della tecnologia digitale viene fatta nel mondo dell’Istruzione e, fino a che non emergeranno evidenze scientifiche di segno contrario alle attuali, fare opera di persuasione sulle famiglie, sui giovani, sugli insegnati e sul decisori politico circa l’imprescindibilità dell’uso di carta e penna.

Il fatto che all’Osservatorio e/o al suo Comitato scientifico abbiano aderito, tra gli altri, la Fieg, l’Aie, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, l’Accademia della Crusca, le principali associazioni di psicologi e di grafologi, oltre ad illustri studiosi come Massimo Ammaniti, Manfred Spitzer e Maryanne Wolf mi onora, ma soprattutto mi conferma che siamo di fronte ad un problema serio, purtroppo sottovalutato. Nessuno pensa di poter fare a meno del digitale: occorre semplicemente trovare, con competenza e spirito critico, il giusto equilibrio tra “nuovo” e “vecchio” mondo.

L’autore è direttore dell’Osservatorio Carta, Penna & Digitale della Fondazione Luigi Einaudi

La Repubblica 

 

 

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