Nel disperato tentativo di superare lo shock e di trovare un ordine nel caos politico e morale trasmesso dalla diretta dello Studio Ovale, un ordine capace di rassicurarci sulla nostra capacità, se non di controllare, almeno di collocare gli eventi, i commentatori si sono affannati alla ricerca di precedenti storici. Sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia ci ha così riportati al brutale summit tra Adolf Hitler e il cancelliere austriaco Kurt von Schuschnigg, piuttosto che al liquidatorio incontro moscovita tra il presidente del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica Leonida Brežnev e il leader cecoslovacco Alexander Dubcek.
A me è tornato alla mente il confronto in diretta streaming tra Beppe Grillo e Pierluigi Bersani. Una messa in scena orchestrata dal leader grillino a beneficio esclusivo della propria base elettorale, oltre che la conferma del fatto che la trasparenza è naturalmente nemica della politica e della verità. C’è molto grillismo nel trumpismo, così come c’era molto trumpismo nel grillismo. Fenomeni contemporanei figli dell’epoca che viviamo: l’epoca dei reality show e dei social network.
L’epoca in cui la politica ha smarrito la propria lingua e la propria complessità, condannandosi ad una polarizzazione estrema fatta di esibizioni muscolari e di personalismi. “You are fired”, ha perciò voluto dire Donald Trump a Volodymyr Zelensky, trasformando la Casa Bianca nello studio televisivo di The Apprentice, il popolare reality stellestrisce che condusse per 14 edizione filate. L’epoca della “post verità” e del deperimento di ogni memoria, sia storica, sia individuale. Sì che il presidente degli Stati Uniti può serenamente citare dati farlocchi (i 350 miliardi versati dal popolo americano alla causa ucraina) e ribaltare la realtà storica facendo di Putin non l’aggressore ma l’aggredito.
Uno da comprendere e quasi da compatire, perché “ha dovuto affrontare tante difficoltà, è andato incontro a una caccia alle streghe… e non aveva colpa di nulla”. L’epoca che ha cancellato la dimensione stessa del tempo, condannandoci a vivere in un eterno presente percepito come effettivamente svincolato dai fatti e dalle dichiarazioni del recente passato. Fatti e dichiarazioni di cui presumibilmente si è perso il ricordo, sicuramente il valore. Sì che Donald Trump può serenamente dire un giorno che Valodymyr Zelensky è “un dittatore” e “un comico fallito”, una settimana dopo può inopinatamente negare di averlo mai detto, sostenendo invece di nutrire “molto rispetto“ per il presidente ucraino e due giorni dopo metterlo alla porta della Casa Bianca in quanto arrogante e impostore. Così, senza soluzione di continuità.
L’epoca in cui i numeri e i dati hanno preso il posto per secoli occupato dai principi e dai pensieri. Sì che, dovendo spiegare al “popolo” americano le ragioni per cui l’America si interessa della lontana Ucraina, Donald Trump non evoca il valore della libertà e della democrazia e tantomeno le radici culturali dell’Occidente. Ne fa, semplicemente, una questione di costi economici e di affari possibili: la fine degli stanziamenti militari; l’acquisizione, con metodi da rapina, del controllo sui giacimenti ucraini di terre rare.
Questa è l’epoca, un’epoca plasmata dai reality prima e dai social poi. Un’epoca in cui si afferma darwinianamente chi meglio corrisponde allo spirito dei tempi. In Italia accadde con Beppe Grillo, negli Stati Uniti è accaduto con Donald Trump. C’è solo da sperare che, non avendo l’epoca alterato le regole profonde della politica, l’esito finale del trumpismo sia in tutto e per tutto analogo all’esito finale del grillismo.