L’ipocrisia (e l’inconcludenza) di chi vorrebbe ribattezzare il piano di “riarmo” europeo

L’ipocrisia (e l’inconcludenza) di chi vorrebbe ribattezzare il piano di “riarmo” europeo

Non solo Matteo Salvini. A criticare il nome scelto da Ursula von der Leyen (o da chi per lei) per il piano di armamenti europei sono stati anche molti tra coloro che ne sostengono l’opportunità. Il piano, come è noto, si chiama “ReArm Europe”, Riarmare l’Europa. E nell’era in cui tutto è comunicazione e la comunicazione è tutto, associare la parola “armi” al concetto di Europa è sembrato un errore strategico. In molti hanno osservato che la presidente della Commissione europea avrebbe fatto meglio ad usare il più rassicurante sostantivo “sicurezza”: un “Piano per la sicurezza europea”, o qualcosa del genere, avrebbe creato meno apprensioni nei cittadini e avrebbe tolto argomenti a chi, come Matteo Salvini, appunto, o Giuseppe Conte, o la coppia Bonelli-Fratoianni, o una parte non marginale del Partito democratico su quel “riarmare l’Europa” ha imbastito la propria campagna demagogica ammantata di pacifismo.

La tesi appare debole. Due volte debole.

Appare debole perché viene naturale pensare che se anche Ursula von der Leyen (o chi per lei) avesse battezzato il piano di riarmo europeo utilizzando concetti non terreni ma celestiali fino ad offrire alle pubbliche opinioni un “Piano per la pace in terra e l’armonia tra i popoli” nulla sarebbe cambiato. La reazione delle forze politiche che intendono sfruttare la paura degli elettori per la Terza guerra mondiale e più in generale l’indifferenza delle folle per valori antichi come la libertà e la democrazia sarebbe stata la stessa: un’opposizione netta, pergiunta rafforzata dell’accusa di voler con tutta evidenza ingannare i cittadini. Dal punto di vista delle dinamiche politiche e della tenuta delle opinioni pubbliche, nulla sarebbe cambiato. Solo che al danno si sarebbe doverosamente aggiunta la beffa.

La seconda ragione per cui cambiare il nome alla cosa avrebbe reso la cosa più accettabile appare tesi decisamente scivolosa è che abbiamo maturato ormai un’esperienza sufficiente per sapere che l’ipocrisia non paga. Di più, l’ipocrisia crea mostri che poi sfuggono al controllo della politica.

Sono, infatti, decenni, per non dire lustri, che si è bellamente pensato di cambiar nome alla guerra. Sia le Nazioni Unite, sia i governi degli Stati democratici hanno ritenuto che, così come non erano  più in grado di supportare il peso dei militari morti in azione, le opinioni pubbliche non fossero più in grado di sopportare il concetto stesso di guerra. Una grande, clamorosa ipocrisia, secondo il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Il quale, in un libro-intervista del 2010 (“Fotti il potere, gli arcana della politica dell’umana natura”) la mise così: “La parola chiave, oggi, è pace. Vietato fare guerre, si fanno solo operazioni di pace. Lo ha scritto anche l’Onu, no? Perché passi per il peace keeping, ma quando si dà il via ad operazione di peace enforcing, di cos’altro si tratta se non di operazioni militari di guerra?”.

Ma, tant’è. Quando Massimo D’Alema, che naturalmente oggi guida il fronte “pacifista”, fu piazzato a Palazzo Chigi dal Regno Unito e dagli Stati Uniti con il compito esplicito di fare la guerra contro la Serbia di Milosevic, le operazioni militari che portarono al bombardamento di Belgrado, con relative vittime civili, furono chiamate non “operazioni di guerra”, ma operazioni di “difesa integrata”. Così, giusto per dire fino a che punto in questo campo si è spinta l’ipocrisia del potere. È la stessa ipocrisia che induce i vertici civili e militari dello Stato a ridurre, anno dopo anno, la componente militare della parata del 2 giugno, infarcendola sempre più di crocerossine, organizzazioni civili, gonfaloni civici e tutto quello che possa far dimenticare che la sicurezza della Repubblica, di cui quel giorno si celebra la Festa, è garantita da, orribile a dirsi, le Forze Armate.

Proscritto anche il solo concetto di guerra, si è così disabituata l’opinione pubblica al fatto che la politica estera di uno Stato si regga sulla politica di deterrenza e che la politica di deterrenza coincida con la capacità militare di quello Stato. Per capirci, se Macron e Starmer sembrano oggi fare la parte del leone fin qua dall’Atlantico è perché Francia e Regno Unito dispongono dell’arma nucleare. Arma e nucleare, parole oggi più che mai spaventose. Dunque scarsamente utilizzabili.

È stato così che, a furia di mascheramenti e di ipocrisie, ci risvegliammo di colpo senza Difesa e pure senza energia.

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