La laicità liberale e il ruolo insostituibile dello Stato nella garanzia dei processi formativi
Il liberalismo s’ispira all’etica del dialogo e della pari libertà per tutte le convinzioni religiose e ideologiche. Compito dello Stato liberale (suo dovere primario) è promuovere un sistema educativo nel quale si possano liberamente confrontare le diverse tradizioni culturali e i giovani possano formarsi e maturare attraverso il contatto vivificante con molteplici correnti di pensiero e sistemi di valori.
Se lo Stato liberale non è uno Stato etico, non è neppure uno Stato agnostico, falsamente neutrale. Lo Stato liberale è il prodotto giuridico-politico di una ben precisa tradizione etico-culturale: i suoi valori, potenzialmente universali, affondano, però, le loro radici nell’etica cristiana e in quella dell’umanesimo europeo culminante nell’illuminismo, con la sua proclamazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, con il riconoscimento della libertà e della responsabilità di ogni persona, con l’uso della ragione critica nei confronti di ogni dogmatismo religioso e ideologico. Il liberalismo non è soltanto un insieme di meccanismi istituzionali e di garanzie giuridiche per bilanciare e limitare il potere dello Stato, ma una complessiva visione laica (che non significa irreligiosa) della vita e della società.
La “laicità” liberale s’identifica con il principio paritario del dialogo fra individui tutti ugualmente liberi e responsabili. Questa pari libertà degli individui (che non è una realtà storica, ma un ideale morale) deve essere promossa dallo stato liberale con un’efficace politica educativa volta a rimuovere quelle condizioni di fatto (economiche, familiari, culturali e ambientali) che sono di ostacolo alla realizzazione effettiva di questa pari libertà.
Solo entro le istituzioni (anche e in primo luogo scolastiche) dello Stato laico e liberale è possibile realizzare pienamente quei valori di autonomia personale, morale e intellettuale, che formano il sostegno e il costume delle democrazie ben funzionanti. Questo è tanto più vero oggi, che ci troviamo di fronte al fenomeno imponente dell’immigrazione e dell’accelerato mescolarsi di culture e di razze: solo la scuola pubblica, laica e liberale, appare in grado di far convivere le diversità, di smussare le troppe rigide contrapposizioni religiose e culturali, di favorire un’indispensabile, reciproca conoscenza.
Il ruolo fondamentale della scuola pubblica nella società multirazziale e multiculturale non deve, però, cancellare il benefico pluralismo delle istituzioni scolastiche e la giusta parità fra scuola pubblica e scuola privata. Dalla concorrenza può nascere un miglioramento della qualità di tutte le scuole, pubbliche e private, anche se (finché esisterà, in paesi come il nostro, il valore legale dei titoli di studio) occorrono rigorosi controlli e comuni criteri di valutazione. Ma hanno senso un pluralismo e una concorrenza finanziati dallo Stato? Una libertà pagata non è una libertà dimezzata? Possono esistere forme di sostegno alla scuola privata (magari indirette, con il buono scuola o la detrazione fiscale) che non si risolvono anch’esse in una sostanziale perdita di autonomia?
Il problema del finanziamento pubblico alla scuola privata non va considerata soltanto dal punto di vista della libertà delle istituzioni educative non statali, o da quello delle famiglie che hanno il diritto di scegliere per i figli il tipo di educazione più conforme ai loro valori morali e religiosi, ma anche dal punto di vista dei ragazzi e del loro diritto a un libero e non unilaterale processo formativo. Sono, forse, i genitori “proprietari” dei loro figli? Si invoca, da certuni, uno “statuto dell’embrione”, si giunge a parlare di un tutore dello stesso, si vuole sottrarre il feto, in certe circostanze, al controllo della madre, e poi sarebbe lecito consegnare gli adolescenti all’arbitrio e, in taluni casi, perfino alla violenza delle famiglie? La questione è molto delicata, perché coinvolge una pluralità di soggetti e di diritti tutti degni di tutela, ma occorre fermamente ricordare che società liberale non significa convivenza di tribù, ciascuna rinserrata nel ghetto dei suoi riti e dei suoi esorcismi culturali, ciascuna ferocemente protesa alla difesa della purezza religiosa o ideologica dei suoi componenti. Questo preteso liberalismo delle corporazioni e non degli individui fa paura e non merita di essere incoraggiato, perché rinuncia preventivamente al dialogo con l’altro e al rischio salutare di essere contaminati e sgretolati nelle proprie certezze. Non ci sono soltanto le violenze materiali e morali delle strutture pubbliche contro i singoli, ci può essere anche l’arbitrio morale e intellettuale delle famiglie contro i minorenni.
In conclusione: lo Stato laico, liberale e democratico, ha il diritto/dovere di difendere l’autonomia degli individui e il loro libero sviluppo morale e intellettuale, in ogni circostanza e contro chiunque (la “libertà liberatrice” di cui parlava Adolfo Omodeo). Esso non pretende di inculcare nella testa dei giovani una particolare religione o ideologia o morale, ma ha certamente il dovere (essenziale per la stessa sopravvivenza della società liberale) di educare tutti i cittadini a una libera socialità, di formarne il senso civico, l’indispensabile patriottismo civile. Se le scuole private, che hanno il sacrosanto diritto di esistere e di operare in piena libertà e a loro spese, vogliono in qualche modo entrare in questo sistema dell’educazione pubblica che è, anzitutto, educazione civica, si debbono adeguare, nei concreti processi educativi e non nelle astratte intenzioni e proclamazioni, a questa morale civile sostanziata di effettivo pluralismo.