Sono considerati i buoni. Hanno un pedigree antiTrump, sono contro le discriminazioni, per l’immigrazione, per il merito, per gli animali e le piante. Sono giovani e ricchi, vivono nella Silicon Valley, si quotano a Wall Street.
Ci possiamo fidare? La risposta è no. Due casi sono emblematici.
1) Snapchat, una società fotografica come si definisce lei. Con circa 160 milioni di utenti è il fenomeno dei giovani e del momento. In realtà fa foto. O meglio le registra on line e permette ai suoi utenti di socializzarle in forma di storia. Non hai Snapchat? Sei old, vecchio, rimbambito. Per la vecchia generazione (mica tanto, quella dei quarantenni) ci sarebbe Facebook che fa più o meno le stesse cose, o Instagram, la filiazione fotografica comprata da Zuckerberg.
Snap ha deciso di quotarsi. In due giorni, e contro molte previsioni, ha fatto il botto, salendo di circa il 50 per cento del suo valore di quotazione iniziale. Ma c’è un problemino, diciamo così, di democrazia economica. I proprietari vendono aria, dal punto di vista societario.
Chi ha comprato le azioni del colosso non ha alcun diritto di voto in assemblea. Insomma i liberal della Valle quando sbarcano a New York, diventano peggio di Gordon Gekko, che una cosa simile non se la poteva neanche immaginare. NbcUniversal si è prenotata mezzo miliardo di dollari di azioni Snap, ha fatto già un mucchio di quattrini, ma non potrà mai contare un accidente in quell’azienda.
Qualcuno potrà dire che chi ha investito, anche senza diritto di parola, ha fatto fino ad ora un sacco di soldi. A parte che questi si vedono solo quando le azioni si vendono, c’è un piccolo ulteriore particolare da tenere in considerazione.
La nostra «aziendina» Moncler fattura un miliarduccio di euro e fa utili per circa 300 milioni eppure vale in Borsa circa 4,5 miliardi. La nostra aziendina Recordati fattura una cifra simile e fa anche lei utili di circa 240 milioni e vale in Borsa 6,5 miliardi.
Ebbene Snapchat non fa un becco di utile e vale in Borsa 33 miliardi. A precisa domanda su quando i mostri della Valle penseranno di fare utili, il management ha più o meno risposto che non hanno la più pallida idea. Altrettanto vago è il piano di business. W le foto. Ma rischiano di non essere quelle della realtà.
Ci spieghiamo meglio: nessuna democrazia di voto, nessuna trasparenza sulla redditività e sul modello di business. E voi ancora ve la prendete contro i vecchi padroni delle ferriere.
2) Yahoo è un caso altrettanto emblematico. Anzi forse più grave. Snap è da vedere, Yahoo è da giudicare. Come tutti i lettori di questa zuppa sanno bene, oggi siamo vinti dalla dittatura delle password. Per la nostra sicurezza, sempre per il nostro bene insomma, ci chiedono di inventare password sempre più complicate, con strani segni, almeno una maiuscola, e magari di cambiarle con una certa frequenza obbligatoria.
Tra poco ci chiederanno di digitarle mentre balliamo o facciamo una particolare smorfia. Mentre noi ci facciamo un mazzo così per ricordarle tutte, e loro ci spiegano che lo fanno per il nostro bene, loro stessi non fanno bene il loro mestiere.
In due attacchi diversi (uno del 2013 e l’altro del 2014) sono stati violati gli account dei possessori di mail Yahoo. Sommate le due violazioni hanno riguardato 1,5 miliardi di account. Il che vuol dire che praticamente ogni cliente di Yahoo ha il suo nome, data di nascita, password segretissima e complicatissima e telefono, in un database che qualche furfante si sarà venduto.
Risonanza sui giornali minima. Altro che fratelli Occhionero. L’azienda inoltre ha denunciato i furti (dopo che la polizia glielo aveva comunicato, pare) solo nel 2016. Insomma per tre anni hanno fatto finta di niente o neanche se ne erano del tutto accorti.
Ma vi rendete conto della gravità. La sua boss, Marissa Mayer una sfegatata fan di Obama, dopo aver incassato come di consueto le sue paghe pluriennali da decine di milioni di dollari (non è un’esagerazione) si è beccata ora finalmente un taglio dei bonus. Inoltre nel luglio del 2016, prima che venissero diffuse le informazione sui pirati in casa, Yahoo è stata ceduta a Verizon per circa 4,8 miliardi di dollari.
La società di tlc, oggi piuttosto risentita, ha preteso uno sconto di 350 milioni di dollari sul prezzo pattuito. Possiamo in buona sostanza dire che la privacy di un miliardo e mezzo di cristiani vale 350 milioni. In piedi c’è solo qualche blando accertamento della Sec su possibili informazioni errate fornite al mercato, nulla di più.
Qualcuno ingenuamente potrebbe dire che l’attuale consiglio di amministrazione di Yahoo e la sua amministratrice delegata siano delle pippe. Ma che dire allora del consiglio e del boss di Yahoo che nel 2008 mandò a quel paese una offerta di Microsoft, che all’epoca voleva comprarla. La società di Bill Gates nove anni fa offriva a Yahoo circa 45 miliardi di dollari e il board all’epoca rifiutava sdegnosamente dicendo che l’offerta ricevuta «sottovalutava» la società. Che fenomeni, dopo nove anni hanno venduto a un decimo.
Non c’è una morale. C’è solo un invito: usare il buon senso, soprattutto in questa rivoluzione digitale che ci sta interessando, è l’unico antidoto per non farsi fregare. [spacer height=”20px”]
Nicola Porro, Il Giornale 4 marzo 2017