Perché in Europa, in Germania, in Olanda, possono entrare tutti, ma non chi ricopre una carica di governo in Turchia? Mi spiego meglio.
I due paladini dell’immigrazione continentale nelle settimane scorse hanno impedito al ministro degli Esteri di Erdogan di tenere un comizio a Rotterdam, che era stato precedentemente autorizzato; e comportamento simile riguarda altri autorevoli membri del governo di Erdogan attesi in Germania.
Ha vinto la tesi della signora De Magistris, Dolce di nome ma non di fatto, che manifestando in piazza a Napoli, su Matteo Salvini ha scritto: la libertà di parola deve avere dei limiti.
Questo crinale è pericoloso: ognuno i limiti li dà in funzione dei propri gusti, dei propri orientamenti e legittimi pregiudizi. Ciò vuol dire che la libertà di parola si svuota, e diventa libertà di dire ciò che piace. Paradossalmente l’Europa che ha così fortemente criticato e giustamente i bavagli all’informazione laica e di opposizione in Turchia, adotta comportamenti simili proprio contro coloro che accusa.
I politici olandesi e tedeschi hanno deciso che i limiti riguardassero le opinioni di voto sul referendum che si terrà ad aprile in Turchia e che se dovesse passare conferirebbe molti più poteri al presidente eletto e di fatto smonterebbe un pezzo importante dello Stato laico eredità di Atatürk.
Il punto non è entrare nei contenuti del referendum, ma nel comportamento dei paladini della libertà e dei valori occidentali. Il ministro degli Esteri turco, in genere ricevuto in pompa magna nei palazzi che contano, non può andare a Rotterdam. È lo stesso governo che siede con una posizione importante nella Nato.
È lo stesso governo che grazie alla Merkel ho ottenuto, senza alcun voto popolare, sei miliardi di euro sottratti dalle tasche dei contribuenti europei, per gestire l’immigrazione siriana. È la stessa Merkel che alla stazione di Berlino ha detto ai profughi: entrate tutti. Tranne uno, il ministro degli Esteri turco, evidentemente. Ma all’epoca non lo disse, poiché probabilmente proprio con lui i diplomatici di Berlino studiavano la quantità di risorse necessaria per gestire la bomba immigrazione.
Dobbiamo fare pace con noi stessi. Per anni abbiamo avuto una tolleranza che sconfina con la follia, nei confronti dei costumi fondamentalisti di alcune comunità islamiche a casa nostra, e poi improvvisamente abdichiamo ad un principio fondante del nostro convivere civile: la libertà di parola.
Vedete, la libertà di parola, non riguarda quella a noi più vicina. Troppo facile. L’essenza del nostro diritto occidentale, giudaico cristiano come direbbe Antiseri, è la difesa della libertà di parola soprattutto verso quella che sentiamo più lontana da noi. È del tutto ininfluente il nostro giudizio sul referendum turco, ciò che conta è che l’Europa ha sempre garantito, senza limiti signora Dolce, il dissenso più ampio e diffuso.
A papa Ratzinger fu impedito di parlare all’Università la Sapienza (lunga la lista dei professori firmatari della petizione laicista) e noi ci scandalizzammo. Così come ci scandalizziamo all’opposto che al ministro degli Esteri turco sia stato impedito di parlare ad un comizio a cui era stato invitato a Rotterdam.
Ciò vuol dire che non dovremmo scandalizzarci se un ex brigatista rosso venisse invitato al Senato della Repubblica, o se un ex teorico della banda armata tenesse lezioni all’Università? In questo caso il discorso cambia e una censura, dolorosa come tutte le censure, ha una ragione. La Turchia, il suo governo, il suo presidente sono accettati in tutte le cancellerie europee. Sono interlocutori istituzionali dell’Unione Europea, dalla quale, come detto, vengono finanziati. Anzi Ankara è utilizzata come fronte, come diga difensiva contro la guerra che sta infiammando il Medio Oriente.
Se dovessimo decidere che la loro posizione è pericolosa e mette a rischio la nostra stessa convivenza civile (come lo sono stati i terroristi in un ventennio italiano) prima di rifiutare i comizi dei loro rappresentanti in Europa, dovremmo con loro chiudere ogni dialogo istituzionale. Cosa che ci guardiamo bene dal fare. [spacer height=”20px”]
Nicola Porro, Il Giornale 15 marzo 2017