L’attacco americano contro la “base delle armi chimiche” di Assad, condivisa dal regime con militari russi che difficilmente potevano ignorare l’utilizzo, ha subito prodotto mal di pancia e distinguo nel nostro paese. Si dovrebbe anzitutto capire che la posizione di Trump è opposta a quella di Obama anche e soprattutto in politica estera.
La sua linea potrà essersi ulteriormente precisata in queste ore, ma sia in campagna elettorale sia dal suo insediamento le radicali differenze tra Trump e Obama si possono riassumere nei seguenti punti:
1) l’America di Trump, diversamente da Obama, pone la sicurezza sopra ogni altra cosa, sul piano interno come su quello internazionale: lottando contro il terrorismo e gli Stati che sostengono il terrorismo, e promuovono guerre e focolai regionali che pregiudicano la sicurezza americana e l’esistenza di Israele
2) l’intesa con Mosca nella lotta al terrorismo vale se l’Isis non resta un facile pretesto per lasciare Assad al potere macellando milioni di persone che non lo vogliono, e per consentire che l’Iran colonizzi politicamente la Siria -dove Hezbollah inquadrata da ufficiali IRGC rappresenta una forza autonoma che tra l’altro minaccia Israele dal Golan siriano- e consolidi un controllo assoluto sull’Iraq
3) sulla Russia, tema di forte contrasto fra Trump e Obama – vedi le sanzioni – c’è stata indubbiamente un ‘evoluzione, per ragioni eminentemente politiche e di “legittimazione” interna. L’Amministrazione repubblicana si trova oggettivamente in difficoltà nello sgomberare il terreno da indagini dell’Fbi e del Senato riguardanti alcuni dei principali collaboratori del Presidente e i loro rapporti ancora non chiariti con funzionari e agenti russi, nonché con banchieri russi sotto sanzioni americane.
Non era questo lo sfondo che in campagna elettorale portava Trump a esprimere forte vicinanza a Putin. Sembra ora più urgente dimostrare che, rispetto alla stessa Russia, prevalgono sempre gli interessi dell’America. E forse questo dovrebbe valere anche per noi
4) mentre per Obama la forza veniva sempre dopo, molto dopo, estenuanti e lunghissimi tentativi di risolvere le crisi con l’esclusivo ricorso alla diplomazia, Trump ha sempre dichiarato di voler contare su un’America forte, sulla sua capacità militare, sul valore fondamentale che rivestono- per una credibile diplomazia e una efficace politica di sicurezza- deterrenza e volontà politica di ricorrere alla forza quando necessario.
La disastrosa rinuncia di Obama a sanzionare gli attacchi con armi chimiche che avevano provocato nell’estate 2013 ben 1500 morti sono sempre stati al centro delle critiche di Trump a Obama. Da quella incredibile fuga americana dalle responsabilità è nato il convincimento dell’Iran di aver campo libero in Siria, Iraq, Yemen, la decisione della Russia di invadere il Donbass con i suoi “volontari” e di annettere la Crimea, e della stessa Cina di militarizzare i nove isolotti semisommersi annettendo l’immenso spazio e le risorse del mar della Cina.
Non c’è analista serio e conoscitore diretto delle conseguenze provocate dalla politica rinunciataria di Obama in Siria che dissenta circa le conseguenze geopolitiche disastrose di quell’impune superamento delle “linee rosse” sulle armi di distruzione di massa da parte di Assad nel 2013.
Poteva Trump far finta di niente? Poteva “obamizzarsi” come d’incanto, proprio sulla questione più devastante e cruciale per l’America non solo in Medio Oriente, ma nello stesso rapporto con la Russia, l’Iran, la Turchia, Israele, e per giunta nelle stesse ore in cui era in corso il cruciale vertice con Xi Jin Ping? Un vertice dove proprio la prospettiva che l’America possa anche “agire da sola” per riportare la ragione a Piongyang deve essere “creduta”, e non irrisa, da un interlocutore abile, sperimentato e deciso come il Presidente cinese.
Non c’è nulla che sorprenda nella decisione di Trump di usare la forza per sanzionare l’ennesimo, atroce crimine di Assad contro l’umanità. Non valgono nulla le tesi che la Siria senza Assad sarebbe senza soluzione politica. Un pensiero atroce per il mezzo milione di morti, i miloni di feriti, di sfollati, di profughi causati da un regime che, secondo gli iraniani e da un paio d’anni anche secondo i russi, deve sopravvivere per continuare a fare da spalla all’espansione militare iraniana nell’arco di crisi che va dal Libano allo Yemen.
La Germania di Hitler, l’Urss di Stalin, la Cambogia Kieu Sampan, l’Uganda di Idi Amin Dada dovevano tenersi per sempre quei regimi criminali in nome della “stabilita’”, di ideologie assurde, o fondamentalismi religiosi? Sono molti i siriani e gli iraniani che animano partiti, movimenti, gruppi che rappresentano un’alternativa anche immediata a regimi così sanguinari.
Il senso di abbandono che l’Occidente ha mostrato nei loro confronti dal 2009, lasciando in totale abbandono l’”onda verde” contro l’elezione scippata da Amadhinejead, e la Coalizione dell’opposizione siriana nel 2011, hanno ingigantito una crisi che si è poi inevitabilmente riversata sull’Europa, come non solo dicevamo, ma gridavamo da anni.
La storia offre raramente una seconda chance. Trump l’ha colta. Dobbiamo sostenerlo con ogni possibile convinzione.
Giulio Terzi di Sant’Agata, L’Intraprendente 10 aprile 2017