Un convegno della Fondazione Einaudi sulle intese diplomatiche favorite da Donald Trump per riavvicinare Israele e alcuni paesi arabi. Gli interventi del rappresentante di Gerusalemme, Dror Eydar, e di quelli di Marocco, Emirati, Bahrain. L’idea è che ormai il processo sia stato messo in movimento, e che l’amministrazione di Joe Biden approfitterà del lavoro fatto dal rivale repubblicano comunque per andare avanti
Non tutto quello che Donald Trump ha fatto in politica estera potrà e sarà facilmente cancellato dall’amministrazione di Joe Biden. Anche perché alcune delle sue scelte, condotte se si vuole anche in maniera spregiudicata e anti-convenzionale, hanno iniziato ad offrire risultati concreti. È il caso degli “Accordi di Abramo”, la serie di intese fra Israele e alcuni Paesi arabi che Trump (e soprattutto suo genero Jared Kushner) hanno accelerato nella fase finale dei 4 anni di presidenza.
“Gli Accordi di Abramo: una speranza per il futuro” è stato il tema di un convegno organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi via web. Obiettivo del dibattito, suddiviso in due panel, era quello di discutere sia i punti chiave e le prospettive dell’attuazione degli Accordi, sia la promozione della sicurezza nel Medio Oriente.
Fra gli altri hanno partecipato Omar Mohamed Alshamsi, l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti in Italia. Youssef Balla, ambasciatore del Marocco; Nasser Belooshi, ambasciatore del Bahrain e Dror Eydar, ambasciatore dello Stato di Israele.
Un panel coordinato da Fiamma Nirenstein, giornalista, fellow del Jerusalem Center for Public Affairs è stato animato da Obaid Almansoori, ex membro del Federal National Council degli Emirati arabi uniti; Reuven Azar, capo “foreign policy advisor” del premier israeliano Benjamin Netanyahu; Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, già presidente del Parlamento europeo.
Per l’ambasciatore marocchino Youssef Balla, “la ripresa dei rapporti Israele-Marocco è uno strumento di pace e riavvicinamento e servirà la causa della pace, anche la causa palestinese, che è importante per il re, per il governo e il popolo marocchino”. Una delegazione marocchina si recherà in Israele quanto prima per finalizzare l’accordo e si attende ugualmente una delegazione israeliana nel paese maghrebino, che lo scorso dicembre si è aggiunto alla lista dei Paesi arabo-islamici che hanno deciso di ristabilire relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico.
Balla è tornato a parlare del dossier mediorientale che vede nel Marocco un “intermediario e facilitatore credibile”. “La causa palestinese è importante per il re, il governo e popolo marocchino”, sostiene l’ambasciatore, che ha elencato i tre punti della posizione di Rabat: “Soluzione basata sui due Stati, il principio del negoziato diretto e l’impegno di conservare il carattere arabo-islamico della Città Santa, con sua apertura a tutte le religioni monoteiste”.
Balla ha sottolineato che “la profondità storica di oltre 2000 anni di legami tra Marocco e la sua comunità giudaica” è “cristallizzata nella Costituzione marocchina, l’unica nel mondo che riconosce la componente giudaica come elemento della multiculturalità” dell’identità nazionale. “La storia del mio Paese è anche quella della più grande comunità ebraica nel mondo arabo e una delle più antiche sulla Terra. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, il 10 per cento della popolazione del Marocco, più di 300 mila cittadini, era composta da marocchini di fede ebraica, e oggi in Israele il 20 per cento della popolazione è di origine marocchina, più di un milione”.
“Quello che speravamo da molti anni sta accadendo ora: Isacco e Ismaele, i figli di Abramo, tornano a collaborare. Ciò che abbiamo in comune è infinitamente più grande di quello che ci separa”, ha detto l’ambasciatore israeliano Dror Eydar, sottolineando che “questa pace è la promessa di una cooperazione fruttuosa in molte aree, di prosperità economica e di migliore sicurezza regionale”.
“Siamo lieti che l’Italia abbia accolto con favore gli accordi e pensiamo che, con l’aiuto delle sue relazioni, possa contribuire a farli estendere anche ad altri Paesi della regione”, ha aggiunto Eydar, sostenendo che “sta crollando il vecchio paradigma del Medio Oriente, secondo cui la pace è un pacchetto che include tutti i Paesi della regione insieme”.
Per l’ambasciatore degli Emirati Omar Alshamsi “gli accordi di Abramo firmati il 15 settembre 2020 rappresentano una pietra miliare nella storia del Medio Oriente. Sin dalla fondazione degli Emirati Arabi Uniti, il nostro obiettivo è stato lo sviluppo degli Emirati e la cooperazione con gli altri Paesi”, e gli accordi di Abramo rappresentano un passo in questa direzione.
“Quest’anno continueremo tale percorso con Expo 2020 Dubai”, all’interno della quale ci sarà “un mega evento” per celebrare la collaborazione con altre nazioni finalizzata a un futuro migliore. L’ambasciatore ha anche evidenziato il ruolo dell’Italia, “importante partner” dalle relazioni storiche. Per quanto riguarda i settori della collaborazione, quelli elencati dall’ambasciatore emiratino sono economico, sanitario e ambientale, ma anche scientifico, tecnologico, energetico, agricolo e di sicurezza alimentare. “Dobbiamo collaborare ora più di sempre per il futuro nostro e dei nostri figli”, ha concluso.
“Non vediamo l’ora di investire in Israele e viceversa, Israele avrà grandi vantaggi dall’avere accesso al nostro mercato, è una situazione in cui tutti vincono”, ha sostenuto il rappresentante in Italia del Bahrain, Nasser al Belooshi, sottolineando l’importanza di “adottare un nuovo modo di vivere che possa promuovere pace, comprensione e tolleranza”. Il diplomatico ha definito l’accordo un’intesa “win-win”, con 13 memorandum d’intesa seguiti e riguardanti viaggi, commercio, trasporti, formazione, scienza, tecnologia e investimenti, che si aggiungono a “operazioni anti-terrorismo, contro Daesh o Hezbollah”.