La settimana prossima il Consiglio dei Ministri tornerà a predisporre misure che limitino gli effetti negativi del rialzo del prezzo del gas. Intitolare questi provvedimenti al concetto di “aiuto” è un errore che corrompe la comprensione, come se ci fosse qualcuno o qualche entità che possa decidere se aiutare o meno chi ne ha bisogno. Ammesso che i decreti debbano avere un nome, “aiutarsi” sarebbe più adeguato: qualsiasi scelta si compia si spera sia efficace, ma è certo che avrà un costo, sicché si deve sapere quale e a carico di chi. Altrimenti siamo al linguaggio gassoso, per di più assai rarefatto.
Dall’inizio del rialzo del prezzo delle materie prime energetiche, che data dalla seconda metà dell’anno scorso, quindi prima della guerra, sono già stati impegnati 30 miliardi di euro, per mitigarne gli effetti. Le accise sui carburanti sono ancora sospese. Non lo si ricorda non solo (anche) per faziosità demagogica, ma perché qualsiasi cifra intestata ad “aiuto” sarà sempre insufficiente, mentre i costi di “aiutarsi” indurrebbero maggiore attenzione.
La campagna elettorale non è l’occasione migliore per la sobrietà verbale, talché circolano due concetti che sarebbe prudente cancellare subito: scostamento e sanzioni. Sul primo ci siamo già soffermati, aggiungiamo che il Btp ha messo la testa sopra il tetto del 4% e che i tassi d’interesse cresceranno, in ragione dell’inflazione. Pensare che indebitarsi ulteriormente, essendolo oltre al collo, sia una soluzione vuol dire confonderla con la dissoluzione. I soldi si trovino nel bilancio esistente, nel maggior gettito fiscale indotto dall’aumento dei prezzi, nella ardita e necessaria tassazione dei profitti impropri, indotti dal prezzo del gas. Chi aggira il problema proponendo lo scostamento come extrema ratio, abbia la compiacenza di chiarire cosa intende per extrema, salutando ratio.
Supporre di mettere in discussione le sanzioni è fuori discussione. Ipotesi zero. A parte il disonore e la viltà di barattare la vita altrui per un vantaggio economico, che lo si faccia come Occidente è impossibile, mentre che lo si faccia come Italia significherebbe tagliarsi fuori dai più ricchi mercati delle nostre esportazioni. Un suicidio sulla pubblica piazza. A parte il risvolto morale. Le sanzioni colpiscono la Russia, in recessione profonda, e la piegheranno. Putin può decidere di chiudere il gas, ma solo scommettendo che il nostro cedimento arrivi prima del suo crollo. Se lo scordi.
Osserva The European House-Ambrosetti che la mancanza di una politica estera comune ha prodotto occasioni commerciali perse, per l’intera Unione europea, in dieci anni, pari a 914 miliardi di euro. Senza Ue le opportunità perse sarebbero maggiori, ovviamente. Non saprei sulla quantificazione, ma il concetto è giusto: potenza politica e militare accompagnano e seguono quella commerciale. Ripassino il concetto quelli che pensano di fare un buon affare portando l’Italia al fianco dell’Ungheria. Venir meno alle sanzioni ci danneggerebbe irreversibilmente.
Dice Carlo Bonomi che se la Russia dovesse chiudere il gas un quinto del nostro sistema produttivo, il 20%, sarebbe compromesso. Non ne dubitiamo. E anche senza arrivare all’ipotesi chiusura, già così il danno è consistente. Ma è quello il punto, per “aiutarsi”: concentrare gli sforzi dove il rischio è maggiore, per le aziende di andare fuori mercato e per le famiglie di andare in bancarotta. Gli strumenti analitici per distinguere ci sono, ma si deve avere onestà e coraggio di scegliere. Fare politica significa scegliere. Vivere significa scegliere. Promettere o reclamare tutto per tutti significa prendere per scemi gli altri, agevolati dal concetto di “aiuto” al posto di “aiutarsi”.
Qualsiasi cose decida il governo, la settimana prossima, nessuno dirà che è troppo, pochi osserveranno che è giusto, i più lamenteranno che è poco. Peccato che questo genere d’approccio, improntato alla geremiade altolocata, sia il niente.