Siamo al 27 gennaio quando il premier Giuseppe Conte afferma che l’Italia è “prontissima” a fronteggiare l’emergenza avendo adottato “misure cautelative all’avanguardia”.
Nel contempo tutte le tv mondiali trasmettono le drammatiche immagini di Wuhan dove si vedono chiaramente a personale medico e infermieristico con tutte le protezioni e la gente bloccata in casa o con mascherine e visiere. Il 31 gennaio dopo aver bloccato i voli da e verso la Cina, Conte firma il decreto che proclama lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi. Ma dopo aver visto per settimane quello che stava accadendo in Cina, nessuno tra il Governo e le tante istituzioni si è posto la semplice domanda: “Se accadesse anche da noi, saremmo pronti?”. Evidentemente non si sono posti queste domande se fino alla fine di aprile mancavano ancora le mascherine, disinfettanti, tamponi e ancora a giugno mancavano reagenti e test virologici, senza i quali le Fasi 2 e 3 sono rallentate dalla paura psicologica del contagio.
In questi giorni, ancora senza una spiegazione plausibile, si propone di estendere lo stato di emergenza fino a fine anno: perché? E con quali disastri ancora per la nostra economia? Quali turisti vorranno venire nel solo Paese in stato di emergenza Covid- 19? E qui veniamo al problema principale della nostra riflessione: se per tutto il mese di febbraio, nonostante lo stato di emergenza, non è stato fatto nulla, ci si sta oggi, in fase di reiterazione dello stato di emergenza, ponendo il problema di ciò che potrà succedere tra novembre e dicembre quando da un lato dovrebbe iniziare una timida ripresa delle attività e dell’occupazione e dall’altro inizierà l’annuale epidemia influenzale. Nel nostro Paese ogni anno gli “influenzati” variano trai 5 e gli 8 milioni di persone e, a seconda delle stagioni, l’inizio della epidemia arriva intorno a novembre con circa un milione di persone infettate. Questi soggetti penseranno che si tratta di una normalissima influenza o, sentite tutte le più astruse teorie sui pericoli delle “seconde ondate”, crederanno di aver contratto il Covid-19?
L’unica possibilità per sapere se è una semplice influenza, anche in presenza della ventilata vaccinazione obbligatoria per gli over 60, sarà fare tamponi; tanti tamponi, almeno tre milioni, oltre ai familiari e “congiunti”, in meno di 40 giorni pena mandare a monte l’intero mese di Natale e Capodanno dove dovrebbe verificarsi l’agognato picco dei consumi e di ripresa delle attività.
Il Governo, oltre allo stato di emergenza ci sta pensando a questo problema? Se ancora oggi mancano i reagenti e riusciamo a mala pena a processare circa 60 mila tamponi al giorno in tutt’Italia con macchinari insufficienti, disporremo per quel periodo di protezioni e dei test necessari? A oggi no, salvo il Veneto che i reagenti se li è fatti da solo. E cosa potrebbe succedere: con una febbre di oltre 37,5 gradi si potrà uscire di casa o si correrà il rischio di passare per untore? Si potrà andare al lavoro? E negozi, attività commerciali, aziende e uffici, cosa faranno? Se si replicherà quanto accaduto nei primi mesi del Covid, e le premesse ci sono tutte, ci sarà un altro “look down”? Sarà davvero difficile applicare la metodica, peraltro molto corretta, della neutralizzazione dei focolai infettivi perché l’influenza può colpire ovunque e qualunque persona. Per prevenire questi rischi occorrerebbe già da oggi prevedere una riqualificazione del parco di strumentazioni per dei tamponi magari non dipendenti dalle case produttrici dei reagenti, atti averso acquisti pianificati di queste macchine come avvenuto in Veneto: basta copiare. Poi occorre produrre in Italia reagenti e tutti i Dpi e smetterla con la dipendenza dai prodotti cinesi. Certo gli annunciati kit per effettuare i tamponi con una semplice operazione individuale e a casa propria, aiuterebbero ma ci si sta pensando? Ma soprattutto bisognerebbe partire con una campagna a tappe-to di test sierologici per verificare quanta parte della popolazione ha contratto, anche inconsapevolmente, il virus; l’esperimento dei 150 mila test a livello nazionale lascia il tempo che trova.
Dobbiamo a tutti i costi prevenire una nuova crisi anche perché sarebbe oltre che il danno, una beffa se dovessimo chiudere tutto per una banale influenza. Già gli effetti della crisi avranno un pesante impatto sul bilancio pubblico italiano; il nostro Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, lo scorso 20 marzo, supponendo che la crisi fosse durata fino a maggio e considerando un parziale recupero negli ultimi 6 mesi (non superiore al 20%) aveva previsto una perdita di Pil pari all’11% (- 200 miliardi) da 1.800 a 1.600 miliardi; l’aumento del nostro debito pubblico di almeno 100 miliardi, dagli gli attuali 2.360 a 2.460 miliardi. Pertanto il rapporto debito-Pil si attesterà al 153,7%. Il bilancio lnps registrerà per il 2020 un disavanzo di quasi 48 miliardi contro i 21 del 2018 e i 25 de12019 che comprende gli effetti di quota 100, mentre l’impatto sul mondo del lavoro sarà devastante con una perdita di almeno 1.500.000 lavoratori con oltre 100 mila attività che non riapriranno. Se la politica del Governo non terrà conto di quello che potrà succedere in autunno, la situazione peggiorerà a causa della psicosi da influenza/Covid e per il Paese potrebbe essere un colpo mortale.
*Presidente Centro Studi Itinerari Previdenziali
Alberto Brambilla
La Stampa, 25/07/2020
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