«Ebbene sì, anch’io ho uno scheletro nell’armadio. Fui io a suggerire a Berlusconi di nominare Mario Monti alla Commissione Europea. Lui non voleva accettare».
Si è comportato meglio a Bruxelles che a Roma?
«Diceva che non era il mestiere suo, e aveva ragione. Ha lavorato bene per sé, aumentando la propria credibilità personale ma questo non è vero in assoluto perché ha acquisito consensi in un ambiente che ragiona male».
Gli italiani a Bruxelles piegano sempre la testa?
«Il peggiore fu Prodi, pessimo da presidente della Ue almeno quanto lo era stato da presidente dell’ Iri. Allargò l’Unione senza darle unità. Non seppe imporre una propria visione, alla fine divenne perfino oggetto di pubblico scherno».
Immagino che lei non apprezzi neppure la Mogherini, rappresentante dell’ Unione per gli Affari Esteri?
«E come faccio? Il suo dipartimento non esiste, è completamente privo di utilità. La ragione principale del fallimento della Ue è proprio questa: gli Stati europei in realtà non puntano all’unità politica e a un’Europa forte perché questo comporterebbe la rinuncia alla sovranità nazionale su difesa e politica estera e nessuno è disposto a questo».
La Germania sembrava voler lanciare un’Europa a due velocità, dove chi voleva poteva procedere a politiche estere comuni.
«Mi sembrava più che altro un escamotage verbale per esortare gli Stati più forti a mollare gli altri. Oppure un mezzo ricatto: o state con noi o state fuori. Ma poi le parole della Merkel sono state interpretate come un preludio al doppio euro, Draghi è intervenuto a stopparla e lei, che in questo momento è in grande difficoltà perché è indietro nei sondaggi e in Germania presto si vota, ha dovuto abbozzare».
Doppia moneta, allora è possibile uscire dall’euro?
«Certo che è possibile. Non è semplice né indolore; anzi, è costoso e difficile, ma è realizzabile».
Il punto è se ci converrebbe.
«Non risolverebbe il problema dell’ enorme spesa pubblica che abbiamo ma ci libererebbe dalla schiavitù di una politica economica decisa dagli altri. Non è affatto detto che staremmo peggio, anche perché non bisogna dimenticare che in Europa ognuno pensa per sé e la nostra economia spesso è stata attaccata e scientemente impoverita dai partner Ue. Sono d’accordo con l’ex leader della sinistra tedesca Joschka Fischer, secondo cui la Germania ha distrutto due volte l’Europa con i carri armati e per la terza volta ci sta provando con le banche».
Come si potrebbe uscire?
«Si torna alla lira in concorrenza con l’euro. In un paio d’anni il tasso di cambio tra le due monete si stabilizza. A quel punto, con un rapporto di cambio deciso dal mercato, si converte in lire il debito pubblico. È il piano che, assieme a diversi economisti europei, avevamo previsto nel 2012 per l’uscita della Grecia».
Ma usciremo o no dall’ euro?
«Di certo non credo a un’uscita frutto di una scelta razionale. Temo piuttosto che possa essere determinata da eventi convulsi e questo mi spaventa. Bisognerebbe iniziare a studiare un’uscita morbida già adesso. Anzi, il piano andava studiato quando è stata avviata la moneta unica: adottare una decisione importante senza valutare la possibilità che non abbia successo è come chiudersi in una stanza buttando la chiave: come si esce poi? È stato fatto un tragico errore».
Per la verità non l’unico.
«Un altro terribile errore fu creare l’euro intorno a un tavolo, dove degli esperti hanno deciso senza confrontarsi con il mercato che un pezzo di carta, che non era mai stato usato come moneta, avrebbe dovuto avere per sempre il valore di 1936,27 lire. Ma se fosse possibile stabilire oggi e per sempre il valore di una moneta non ci sarebbe più la miseria nel mondo, basterebbe continuare a stamparla».
L’ euro ha aggravato la grande crisi che ha colpito l’Europa?
«Più che aggravarla, ha contribuito in modo decisivo a determinarla. L’euro avrebbe avuto bisogno di un paio d’ anni di circolazione parallela con le monete nazionali. Introdurlo dall’oggi al domani ha causato un impoverimento di tutti i cittadini europei, che si sono comportati come si fa sempre quando si ha per le mani una moneta che non è la propria e di cui non si conosce il valore reale: hanno cominciato a spendere con più facilità. Chi prima dell’euro lasciava mance di duemila lire? È così che il potere d’ acquisto si è ridotto rapidamente e il valore reale dei redditi è crollato».
Meno male che c’ è Draghi alla Banca Centrale Europea?
«Non mi accodo al coro di elogi unanimi verso il governatore. Il suo quantitative easing non serve a far ripartire l’economia, com’era prevedibile visto che la domanda di credito non dipende solo dalla disponibilità delle banche ma bisogna creare anche le condizioni di convenienza a investire. Se poi un giorno l’economia dovesse mai ripartire, grazie alle iniezioni di denaro della Bce rischiamo di trovarci davanti a un’impennata dell’inflazione».
Non l’ hanno fatta mai ministro dell’Economia per il suo anti-europeismo?
«Ma guardi che io sono un europeista, è l’Unione Europea a non esserlo davvero. Comunque sono stato io a non voler fare il ministro dell’Economia, ho preferito gli Esteri, il ministero era più vicino a casa e aveva un parcheggio più grande».
Sia serio, professore…
«All’inizio non avrei neppure voluto candidarmi in Parlamento perché la politica è compromesso e questo non mi piace. Ma il mio professore Milton Friedman mi disse: “Candidati e fai compromessi sui dettagli e non sulle cose importanti”. Per me essere un economista liberale era la cosa più importante: su questa non potevo fare compromessi, mi avrebbero screditato».
Mi sta dicendo tra le righe che l’ Italia non sarà mai un Paese davvero liberale?
«Non è detto, la maggioranza degli italiani ha un’ aspirazione liberale. Berlusconi ha sempre vinto le sue campagne elettorali promettendo un’Italia liberale e ha cominciato a perdere consenso quando i cittadini hanno visto tradita la promessa di una rivoluzione liberale».
Però poi questa benedetta rivoluzione liberale Berlusconi non ebbe mai il coraggio di farla.
«Più che il coraggio direi la forza: fu fermato dagli alleati, che in campagna elettorale appoggiavano i nostri programmi ma dopo le vittorie si sfilavano. Sono i limiti di un governo di coalizione: ogni membro della coalizione per garantirsi la sua fetta di consenso elettorale si adopera per emergere, anche a costo di tradire il programma elettorale».
Ha fatto anche degli errori.
«Tragici i presidenti delle Camere: Pivetti, Casini e Fini non ci hanno mai aiutato».
Adesso il centrodestra sembra ancora più diviso: in teoria unito sarebbe primo nei sondaggi ma la sensazione è che non troverà il bandolo della matassa.
«Berlusconi non ha ancora deciso se stare con Salvini o con Renzi. Si rende conto che il centrodestra dev’essere unito se vuole dare battaglia a Cinquestelle e sinistra ma sa anche che un’alleanza unita sulle posizioni estremiste di Salvini e Meloni danneggerebbe Forza Italia».
Come se ne esce?
«Silvio è in grado di sbagliare da solo senza bisogno dei miei consigli. Io comincerei a scrivere un programma vincolante, chiaro e calendarizzato e vedere chi ci sta. E alla peggio, andare da solo».
Su euro e Ue Berlusconi e Salvini non vanno d’accordo.
«Quelle sono battaglie ideologiche. Si accordino su un programma concreto e non necessariamente ampio. Abolire le Regioni, separare magistratura giudicante da magistratura inquirente, fare un’unica aliquota fiscale e introdurre un welfare selettivo, per cui le medicine non siano gratuite per il milionario e il poveraccio. Su questi temi l’accordo si può trovare e Berlusconi ha una visione comunque più vicina a Lega e Fdi che alla sinistra. L’ idea della grande coalizione con Renzi, presa in prestito dal modello tedesco, sarebbe un errore».
Lei che è per un governo forte, ha votato Sì al referendum?
«Ho votato No. Il referendum di dicembre era solo una mossa politica di facciata con cui Renzi voleva rafforzare il proprio potere. L’ unica cosa innovativa, ma in senso negativo, era il nuovo ruolo del Senato, ridisegnato come amplificatore delle Regioni, l’ente pubblico più marcio di tutti. Il rafforzamento del potere del governo era affidato invece all’ Italicum, la riforma elettorale che la Corte Costituzionale ha bocciato».
Cosa pensa del governo Renzi?
«Non ha ridotto né le spese né il debito pubblico. Anzi, ha mandato via tre commissari alla spending review. Per il resto, Renzi non è un economista e non gli do tante colpe. Me la prendo invece con il ministro dell’Economia Padoan, che non lo ha saputo consigliare e non ha tradotto in qualcosa di rivoluzionario le intenzioni dell’ex premier».
Chi vince le elezioni in Italia?
«Non ne ho idea. Certo ritengo che il successo di M5S non sia inarrestabile. Calano. E anche il Pd è in grande crisi, non si sa bene cosa sia, è composto da persone che hanno radici politiche molto diverse, non c’ è più disciplina di partito, ognuno vuole distinguersi. A confronto la Dc delle correnti era un monolite. Ripeto, c’è un corridoio vincente in cui il centrodestra può infilarsi».
Guardando all’estero, si augura che in Francia vinca la Le Pen?
«Sarebbe uno schiaffo niente male ai benpensanti. Un modo per ribadire che la realtà non va per forza nella direzione in cui si sforza di indirizzarla il pensiero unico. Il terzo schiaffo, dopo la Brexit e Trump».
Gode del successo di Trump?
«Sì, perché è stata una vittoria della democrazia. Sfatiamo il mito di Obama, è stato il peggior presidente della storia americana. Un disastro in politica estera ma anche in economia: ha raddoppiato e fatto declassare il debito Usa e ha fatto una riforma della sanità che costa ai ceti bassi e medi».
Ma Trump è un protezionista, un liberista come lei non dovrebbe apprezzarlo.
«Non è certo Reagan ma sarà migliore di quanto sarebbe stata la Clinton. Non mi piace il suo protezionismo commerciale perché ritengo lo scambio una ricchezza soprattutto per chi riceve ma taglierà le tasse, metterà spalle al muro gli eurosauri e combatterà Isis e Cina».
La Brexit si rivelerà un affare o un disastro per l’ Inghilterra?
«Londra avrà problemi di adattamento ma poi farà una riforma fiscale sul modello dell’ Irlanda e andrà incontro a un boom economico». [spacer height=”20px”]
Pietro Senaldi, Libero 14 febbraio 2017
[:en]«Ebbene sì, anch’io ho uno scheletro nell’ armadio. Fui io a suggerire a Berlusconi di nominare Mario Monti alla Commissione Europea. Lui non voleva accettare».
Si è comportato meglio a Bruxelles che a Roma?
«Diceva che non era il mestiere suo, e aveva ragione. Ha lavorato bene per sé, aumentando la propria credibilità personale ma questo non è vero in assoluto perché ha acquisito consensi in un ambiente che ragiona male».
Gli italiani a Bruxelles piegano sempre la testa?
«Il peggiore fu Prodi, pessimo da presidente della Ue almeno quanto lo era stato da presidente dell’ Iri. Allargò l’Unione senza darle unità. Non seppe imporre una propria visione, alla fine divenne perfino oggetto di pubblico scherno».
Immagino che lei non apprezzi neppure la Mogherini, rappresentante dell’ Unione per gli Affari Esteri?
«E come faccio? Il suo dipartimento non esiste, è completamente privo di utilità. La ragione principale del fallimento della Ue è proprio questa: gli Stati europei in realtà non puntano all’ unità politica e a un’Europa forte perché questo comporterebbe la rinuncia alla sovranità nazionale su difesa e politica estera e nessuno è disposto a questo».
La Germania sembrava voler lanciare un’Europa a due velocità, dove chi voleva poteva procedere a politiche estere comuni. «Mi sembrava più che altro un escamotage verbale per esortare gli Stati più forti a mollare gli altri. Oppure un mezzo ricatto: o state con noi o state fuori. Ma poi le parole della Merkel sono state interpretate come un preludio al doppio euro, Draghi è intervenuto a stopparla e lei, che in questo momento è in grande difficoltà perché è indietro nei sondaggi e in Germania presto si vota, ha dovuto abbozzare».
Doppia moneta, allora è possibile uscire dall’ euro?
«Certo che è possibile. Non è semplice né indolore; anzi, è costoso e difficile, ma è realizzabile».
Il punto è se ci converrebbe.
«Non risolverebbe il problema dell’ enorme spesa pubblica che abbiamo ma ci libererebbe dalla schiavitù di una politica economica decisa dagli altri. Non è affatto detto che staremmo peggio, anche perché non bisogna dimenticare che in Europa ognuno pensa per sé e la nostra economia spesso è stata attaccata e scientemente impoverita dai partner Ue. Sono d’ accordo con l’ex leader della sinistra tedesca Joschka Fischer, secondo cui la Germania ha distrutto due volte l’ Europa con i carri armati e per la terza volta ci sta provando con le banche».
Come si potrebbe uscire?
«Si torna alla lira in concorrenza con l’ euro. In un paio d’ anni il tasso di cambio tra le due monete si stabilizza. A quel punto, con un rapporto di cambio deciso dal mercato, si converte in lire il debito pubblico. È il piano che, assieme a diversi economisti europei, avevamo previsto nel 2012 per l’uscita della Grecia».
Ma usciremo o no dall’ euro?
«Di certo non credo a un’ uscita frutto di una scelta razionale. Temo piuttosto che possa essere determinata da eventi convulsi e questo mi spaventa. Bisognerebbe iniziare a studiare un’uscita morbida già adesso. Anzi, il piano andava studiato quando è stata avviata la moneta unica: adottare una decisione importante senza valutare la possibilità che non abbia successo è come chiudersi in una stanza buttando la chiave: come si esce poi? È stato fatto un tragico errore».
Per la verità non l’unico.
«Un altro terribile errore fu creare l’euro intorno a un tavolo, dove degli esperti hanno deciso senza confrontarsi con il mercato che un pezzo di carta, che non era mai stato usato come moneta, avrebbe dovuto avere per sempre il valore di 1936,27 lire. Ma se fosse possibile stabilire oggi e per sempre il valore di una moneta non ci sarebbe più la miseria nel mondo, basterebbe continuare a stamparla».
L’ euro ha aggravato la grande crisi che ha colpito l’ Europa?
«Più che aggravarla, ha contribuito in modo decisivo a determinarla. L’ euro avrebbe avuto bisogno di un paio d’ anni di circolazione parallela con le monete nazionali. Introdurlo dall’ oggi al domani ha causato un impoverimento di tutti i cittadini europei, che si sono comportati come si fa sempre quando si ha per le mani una moneta che non è la propria e di cui non si conosce il valore reale: hanno cominciato a spendere con più facilità. Chi prima dell’euro lasciava mance di duemila lire? È così che il potere d’ acquisto si è ridotto rapidamente e il valore reale dei redditi è crollato».
Meno male che c’ è Draghi alla Banca Centrale Europea?
«Non mi accodo al coro di elogi unanimi verso il governatore. Il suo quantitative easing non serve a far ripartire l’economia, com’ era prevedibile visto che la domanda di credito non dipende solo dalla disponibilità delle banche ma bisogna creare anche le condizioni di convenienza a investire. Se poi un giorno l’economia dovesse mai ripartire, grazie alle iniezioni di denaro della Bce rischiamo di trovarci davanti a un’impennata dell’inflazione».
Non l’ hanno fatta mai ministro dell’ Economia per il suo anti-europeismo?
«Ma guardi che io sono un europeista, è l’ Unione Europea a non esserlo davvero. Comunque sono stato io a non voler fare il ministro dell’Economia, ho preferito gli Esteri, il ministero era più vicino a casa e aveva un parcheggio più grande».
Sia serio, professore…
«All’inizio non avrei neppure voluto candidarmi in Parlamento perché la politica è compromesso e questo non mi piace. Ma il mio professore Milton Friedman mi disse: “Candidati e fai compromessi sui dettagli e non sulle cose importanti”. Per me essere un economista liberale era la cosa più importante: su questa non potevo fare compromessi, mi avrebbero screditato».
Mi sta dicendo tra le righe che l’ Italia non sarà mai un Paese davvero liberale?
«Non è detto, la maggioranza degli italiani ha un’ aspirazione liberale. Berlusconi ha sempre vinto le sue campagne elettorali promettendo un’Italia liberale e ha cominciato a perdere consenso quando i cittadini hanno visto tradita la promessa di una rivoluzione liberale».
Però poi questa benedetta rivoluzione liberale Berlusconi non ebbe mai il coraggio di farla.
«Più che il coraggio direi la forza: fu fermato dagli alleati, che in campagna elettorale appoggiavano i nostri programmi ma dopo le vittorie si sfilavano. Sono i limiti di un governo di coalizione: ogni membro della coalizione per garantirsi la sua fetta di consenso elettorale si adopera per emergere, anche a costo di tradire il programma elettorale».
Ha fatto anche degli errori.
«Tragici i presidenti delle Camere: Pivetti, Casini e Fini non ci hanno mai aiutato».
Adesso il centrodestra sembra ancora più diviso: in teoria unito sarebbe primo nei sondaggi ma la sensazione è che non troverà il bandolo della matassa.
«Berlusconi non ha ancora deciso se stare con Salvini o con Renzi. Si rende conto che il centrodestra dev’essere unito se vuole dare battaglia a Cinquestelle e sinistra ma sa anche che un’alleanza unita sulle posizioni estremiste di Salvini e Meloni danneggerebbe Forza Italia».
Come se ne esce?
«Silvio è in grado di sbagliare da solo senza bisogno dei miei consigli. Io comincerei a scrivere un programma vincolante, chiaro e calendarizzato e vedere chi ci sta. E alla peggio, andare da solo».
Su euro e Ue Berlusconi e Salvini non vanno d’accordo.
«Quelle sono battaglie ideologiche. Si accordino su un programma concreto e non necessariamente ampio. Abolire le Regioni, separare magistratura giudicante da magistratura inquirente, fare un’unica aliquota fiscale e introdurre un welfare selettivo, per cui le medicine non siano gratuite per il milionario e il poveraccio. Su questi temi l’accordo si può trovare e Berlusconi ha una visione comunque più vicina a Lega e Fdi che alla sinistra. L’ idea della grande coalizione con Renzi, presa in prestito dal modello tedesco, sarebbe un errore».
Lei che è per un governo forte, ha votato Sì al referendum?
«Ho votato No. Il referendum di dicembre era solo una mossa politica di facciata con cui Renzi voleva rafforzare il proprio potere. L’ unica cosa innovativa, ma in senso negativo, era il nuovo ruolo del Senato, ridisegnato come amplificatore delle Regioni, l’ente pubblico più marcio di tutti. Il rafforzamento del potere del governo era affidato invece all’ Italicum, la riforma elettorale che la Corte Costituzionale ha bocciato».
Cosa pensa del governo Renzi?
«Non ha ridotto né le spese né il debito pubblico. Anzi, ha mandato via tre commissari alla spending review. Per il resto, Renzi non è un economista e non gli do tante colpe. Me la prendo invece con il ministro dell’Economia Padoan, che non lo ha saputo consigliare e non ha tradotto in qualcosa di rivoluzionario le intenzioni dell’ex premier».
Chi vince le elezioni in Italia?
«Non ne ho idea. Certo ritengo che il successo di M5S non sia inarrestabile. Calano. E anche il Pd è in grande crisi, non si sa bene cosa sia, è composto da persone che hanno radici politiche molto diverse, non c’ è più disciplina di partito, ognuno vuole distinguersi. A confronto la Dc delle correnti era un monolite. Ripeto, c’ è un corridoio vincente in cui il centrodestra può infilarsi».
Guardando all’ estero, si augura che in Francia vinca la Le Pen?
«Sarebbe uno schiaffo niente male ai benpensanti. Un modo per ribadire che la realtà non va per forza nella direzione in cui si sforza di indirizzarla il pensiero unico. Il terzo schiaffo, dopo la Brexit e Trump».
Gode del successo di Trump?
«Sì, perché è stata una vittoria della democrazia. Sfatiamo il mito di Obama, è stato il peggior presidente della storia americana. Un disastro in politica estera ma anche in economia: ha raddoppiato e fatto declassare il debito Usa e ha fatto una riforma della sanità che costa ai ceti bassi e medi».
Ma Trump è un protezionista, un liberista come lei non dovrebbe apprezzarlo.
«Non è certo Reagan ma sarà migliore di quanto sarebbe stata la Clinton. Non mi piace il suo protezionismo commerciale perché ritengo lo scambio una ricchezza soprattutto per chi riceve ma taglierà le tasse, metterà spalle al muro gli eurosauri e combatterà Isis e Cina».
La Brexit si rivelerà un affare o un disastro per l’ Inghilterra?
«Londra avrà problemi di adattamento ma poi farà una riforma fiscale sul modello dell’ Irlanda e andrà incontro a un boom economico». [spacer height=”20px”]
Pietro Senaldi, Libero 14 febbraio 2017