Parla Giuseppe Benedetto, avvocato e presidente della Fondazione Einaudi: «Lo attaccano perché può scardinare il sistema»
Giuseppe Benedetto, avvocato e presidente della Fondazione Einaudi, del cui consiglio di amministrazione Carlo Nordio è stato componente dal 5 dicembre 2018 fino alla sua nomina a ministro della Giustizia: che impressione ha di questi primi mesi del Guardasigilli a via Arenula?
Senz’altro positiva. Sottoscriviamo tutto quello che il ministro ha annunciato e ci auguriamo che presto si possa passare alla concreta realizzazione di una riforma della giustizia che attendiamo da anni. Qualche timida ma positiva indicazione è venuta dalla Cartabia, ora è necessario che da Nordio venga quella spinta per procedere oltre.
Ci sono spinte diverse all’interno del governo in tema di giustizia, tant’è che sarebbe in atto un tentativo di contenere il ministro, così come riportano le cronache giornalistiche. Nordio rischia di essere messo ai margini?
A me piace parlare per fatti concludenti e non per interpretazioni giornalistiche. Ogni giorno leggo di rappresentanti dei vari partiti della maggioranza che prendono le distanze da Nordio. Non possiamo metterci seriamente a seguire voci, impressioni o illazioni. Valutiamolo con i provvedimenti. Certamente se da qui a sei mesi nessuno dei propositi annunciati da Nordio sarà sulla via della realizzazione ne trarremo delle conclusioni, che probabilmente non saranno lusinghiere per questo governo. Ma siamo ancora alle prime battute e limitandoci alle dichiarazioni dico che sono positive.
C’è un aspetto che in molti evidenziano: il suo essere stato per tutta la vita fuori dai palazzi e, in particolare, fuori da quelli romani. Questo suo “spaesamento” è un limite o un vantaggio?
La distanza dai palazzi e dalle sue logiche può essere un vantaggio. Lo svantaggio è che la macchina complessa di un ministero – e in particolare uno come quello di via Arenula – per essere governata ha bisogno o di un’esperienza pregressa o di un accelerato corso di “formazione”. Nordio stesso ha sempre detto che non si è mai occupato, in questo senso, di pubblica amministrazione e dunque il tempo glielo dobbiamo concedere. Ma ripassando le storie personali e politiche di tutti i precedenti ministri della Giustizia non so quanti avessero l’esperienza necessaria.
La giustizia è sempre il terreno di scontro privilegiato tra i partiti ma forse anche quello sul quale, alla fine, si interviene di meno. La fondazione Einaudi, anche insieme allo stesso Nordio, ha più volte proposto delle ricette ed indicato urgenze ed emergenze. Che suggerimenti dà al ministro?
Come ripeto quotidianamente, la riforma delle riforme necessaria per il Paese è quella della separazione delle carriere. Ci ho scritto anche un libro, la cui prefazione è di Carlo Nordio, dal titolo “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”. Oggi con i magistrati alcuni temi non sono più un tabù, però su questo non si può avere un confronto civile, approfondito e chiarificatore. La risposta è sempre: “Non è quello il problema”. Ma se per la Fondazione Einaudi, per l’Unione delle Camere penali – assieme alla quale abbiamo depositato parecchi anni fa una proposta di legge costituzionale – e i Radicali questo tema è fondamentale, perché i magistrati non vogliono affrontarlo? Dalla separazione delle carriere si dipanano mille cunicoli spesso invisibili e sotterranei. Ne dico solo uno: le valutazioni dei magistrati. Come ben sa si valutano tra di loro e la valutazione è sempre l’eccellenza. Il fascicolo delle performance, tra le riforme più semplici della Cartabia, ha addirittura provocato uno sciopero. Com’è possibile? Perché in Italia la casta è questa. I magistrati sono gli unici che ritengono di non poter essere valutati da nessuno. E dunque, la separazione delle carriere e il doppio Csm – perché noi non vogliamo un pm sottoposto al governo o a qualcun altro – servirebbero, ad esempio, per evitare questo genere di intrecci. Perché anche se si tratta di persone perbene può venire il dubbio che oggi il giudizio lusinghiero dell’uno possa servire per ottenere un domani un giudizio altrettanto lusinghiero dell’altro.
E come si realizza questa separazione?
La Fondazione Einaudi ha proposto una snella assemblea costituente per la riforma complessiva della seconda parte della Costituzione. Siamo molto scettici sulla possibilità che una bicamerale, viste le sorti infauste di tutte le bicamerali, possa essere la soluzione. Bisogna dare la parola agli elettori per eleggere 100 costituenti che possano mettere mano complessivamente, senza sbrindellarla a pezzetti, alla nostra Costituzione.
Ha avuto modo di confrontarsi col ministro in questi mesi?
Nelle settimane scorse Nordio, assieme al professore Sabino Cassese, ha partecipato alla presentazione del mio libro a Roma e ha ribadito che il suo essere ministro non gli fa cambiare idee. Certo, il suo ruolo comporta anche momenti di comprensibile equilibrio, perché fa parte di una maggioranza e ha delle responsabilità, ma ha ribadito che se gli fanno fare le cose in cui crede bene, altrimenti si dimette. Beh, è strano che un ministro dica questo subito dopo essere stato nominato: questo è il segno della determinazione di Nordio.
Quindi per tornare alla domanda sui presunti tentativi di arginamento mi sembra che la risposta sia: è difficile che lo consenta.
Non ho motivo di ritenere che Nordio pensi una cosa e ne dica un’altra. Ma lo constateremo empiricamente.
Il tema più divisivo, in questo momento, è quello delle intercettazioni e il ministro è sotto attacco per le sue idee. Lei condivide la sua posizione?
Le intercettazioni, per come sono in Italia, sono una vera indecenza e negare che siano state usate anche per fini poco nobili sarebbe offendere l’intelligenza degli italiani. Nordio è stato netto sul fatto di non voler toccare le intercettazioni, anche le più invasive, purché rispettose della persona umana, contro i reati di mafia. Ma solo chi non è mai entrato in un’aula di giustizia o non abbia mai avuto parte ad un processo può difendere questo sistema. Stiamo attenti, delle intercettazioni si può fare strame, inoltre non sono una prova, ma un mezzo di ricerca della prova. Ma a quanti processi assistiamo, ogni giorno, in cui gli unici elementi di prova portati a giudizio dall’accusa sono solo le intercettazioni? Le indagini non si fanno più e negare questo è violentare barbaramente la verità. Contro Nordio si sta creando un fronte compatto di manettari, tagliagole, giustizialisti di ogni specie perché vedono in lui l’uomo che può scardinare il sistema. Ma a me piacerebbe vivere in un Paese in cui Nordio è la normalità, non l’eccezione.
Simona Musco, Il Dubbio, pagina 1 e 2 del 21 gennaio 2023