Il segretario generale Fim-Cisl: più smart working e nuove tecnologie in fabbriche e uffici
ROMA «La domanda che si fa il presidente dell’Inps è giusta. Purtroppo la sua risposta è sbagliata e banale, inefficace». Marco Bentivogli è il segretario della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl. Nel suo libro Controdine compagni parla anche di riduzione dell’orario di lavoro, adattando ai nostri tempi un vecchio slogan: «Lavorare meno, vivere meglio».
Ma allora cosa c’è che non va nella proposta di Pasquale Tridico che ha detto di voler ridurre l’orario di lavoro?
«Parlare del tema va bene ma farlo così, in modo inattendibile, aumenta la frustrazione di chi ci crede davvero».
Perché inattendibile?
«Lui immagina che dimezzare l’orario di lavoro di un dipendente a tempo pieno, peraltro a parità di salario, produca due lavoratori a tempo pieno. Ha la stessa credibilità di quando il ministro del Lavoro diceva che per ogni pensionato in uscita ci sarebbero state tre assunzioni. In realtà Quota 100 è stata usata da molte aziende per fare lo stesso lavoro con meno persone, quella che chiamano ottimizzazione. Il punto è che la strategia di ridurre l’orario di lavoro per legge, come in Francia, non ha dato risultati sull’occupazione».
Allora qual è la strada?
«Bisogna prendere in mano la bandiera della libertà d’orario. L’uso delle nuove tecnologie e dello smart working, cioè la possibilità di lavorare anche lontano dall’azienda o dall’ufficio e dai suoi rigidi orari, può ridurre le ore lavorate a parità di salario, aumentando allo stesso tempo la produttività. Ed è proprio questo aumento di produttività, non il taglio per legge delle ore lavorate, che può creare le condizioni per fare nuove assunzioni e aumentare così l’occupazione».
Ma in Italia molte aziende non si fidano.
«Ed è un peccato perché le potenzialità sono tantissime. A Genova i dipendenti di Leonardo sono stati danneggiati dal crollo del Ponte Morandi. In 900, su 1.200, sono in smart working per dieci giorni al mese. I primi risultati parlano di maggiore produttività, perché la stessa cosa si fa nella metà del tempo, e di migliore conciliazione tra vita e lavoro. Ci guadagnano i lavoratori, perché spesso la vita fa a botte con il lavoro e viceversa. Ma anche l’azienda. Il guaio è che le gerarchie aziendali organizzano il lavoro, il suo tempo e i suoi luoghi più per controllarlo che per obiettivi di produttività e benessere».
Non tutti, però, sono interessati allo smart working.
«Infatti c’è anche un altro modello, quello usato in Germania e nei Paesi del Nord Europa. Si prevede per via contrattuale che in alcune fasi della vita del lavoratore ci possano essere delle riduzioni di orario. In questo caso c’è una riduzione anche dello stipendio ma non dei contributi e quindi delle pensione futura. Può essere utile per chi ha dei bambini piccoli da accudire, ma anche negli ultimi anni della carriera».
La battaglia delle 35 ore contribuì a far cadere il primo governo Prodi. Può succedere lo stesso ora?
«Non credo. Questa maggioranza al lavoro dà poca importanza. Il tema è di lungo periodo. Loro si scannano sul sentiment del giorno».
Lorenzo Salvia
Corriere della Sera, 13 Aprile 2019