“Caro Presidente, chi dice che l’Antitrust Ue, con la sua decisione su Apple, mina la libertà di un paese di stabilire livelli di tassazione sulle imprese assai più bassi di quelli praticati dagli altri paesi Ue, pregiudicando così la possibilità di una positiva concorrenza fiscale e difendendo gli interessi degli Stati “più tassatori”, non sa di cosa parla oppure fa la solita campagna antieuropeista a priori.
L’Antitrust Ue non mette affatto in discussione il diritto di ogni Stato sovrano di stabilire in piena autonomia il livello di tassazione che vuole applicare sui redditi delle imprese che operano sul suo suolo nazionale. L’Irlanda applica una aliquota del 12,5% ed è senz’altro modello invidiabile cui guardare e cui, infatti, con invidia guardiamo. Non a caso la nostra IRES scenderà l’anno prossimo dal 27,5% al 24% e altri passi dovranno essere fatti in futuro per scendere ancora (il 12,5% del medio periodo non è realistico, ma il 20% si, se si ha un ordine di priorità chiaro).
Nel fisco, come in tanti altri ambiti, la concorrenza fa bene e innesta processi virtuosi di efficienza: lunga vita alla concorrenza. Allo stesso modo, però, nel fisco come in qualsiasi altro ambito, la concorrenza non va affatto bene se diventa sleale. E questo, non altro, è appunto l’oggetto dell’intervento dell’antitrust Ue. Se, stabilendosi in Irlanda, Apple pagasse sui propri utili il 12,5% di tasse, cioè l’aliquota irlandese, nessuno potrebbe aprir bocca e hi lo farebbe sarebbe per davvero un inguardabile tassatore invidioso.
Se però, nonostante una aliquota al 12,5%, ad Apple viene fatto pagare solo lo 0,05%, grazie a un’interpretazione ad aziendam della amministrazione finanziaria irlandese che esenta da tassazione la quasi totalità del reddito ivi prodotto, ecco che la mancata tassazione rispetto a quello che pagano le altre imprese stabilite in Irlanda diventa un aiuto di Stato e la misura assume i connotati della concorrenza (fiscale) sleale sia tra la Apple e le altre imprese irlandesi, sia nel rapporto tra diversi paesi web. Da questo punto di vista, l’unico appunto che può essere mosso all’Europa è di aver sollevato soltanto ora la questione. Meglio tardi che mai. C’è poi la questione ulteriore se tutto il reddito generato in Europa da Apple possa essere realmente considerato per intero in Irlanda e non, per quota parte, nei diversi paesi ove le vendite avvengono per il tramite di negozi e reti distributive ivi ubicate. L’amministrazione finanziaria italiana, lavorando in questo caso assai meglio e prima delle altre, e già riuscita lo scorso anno ad ottenere che anche Apple riconoscesse finalmente che la risposta è no, incassando per il passato oltre 300 milioni di imposte che Apple non aveva sino ad allora versato.
C’è infine la questione, separata, ma collegata, dei criteri di individuazione del Paese in cui considerare prodotti i redditi (e conseguentemente in cui vanno tassati) derivanti da transazioni on line. Nonostante un cantiere perennemente aperto, le regole internazionali continuano ad essere insoddisfacenti e consentono ampi margini di elusione.
Per questo serve quanto prima introdurre non già nuove tasse sul digitale, ma norma anti elusive specifiche che rendano più facile impedire queste pratiche. Un impegno che, anche su forte sollecitazione di Scelta Civica, il governo aveva espressamente preso con orizzonte 2017. Un impegno che sarebbe opportuno onorare.”
Enrico Zanetti, Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze