Molti contribuenti hanno ricevuto cartelle gonfiate, per la Tari, perché i comuni «per sbaglio» hanno calcolato la superficie tassabile due volte, prima per l’alloggio comprese le pertinenze, poi per le pertinenze.
Se i contribuenti avessero pagato con una propria autodichiarazione, questo «sbaglio» non lo avrebbero fatto. Il cervello elettronico del fisco avrebbe potuto, comunque, controllare se era stata dichiarata tutta la superficie o c’erano stati «sbagli» per difetto.
Ho messo tra virgolette «sbagli» perché a volte si tratta di errori dei contribuenti o di interpretazioni pretestuose e di inefficienze degli uffici. [spacer height=”20px”]
Dunque, il brillante direttore generale dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini commette un autogol, quando – pensando probabilmente di accrescere la popolarità del fisco con gli italiani e di rendere loro un servizio utile – afferma, in un’intervista a un grande quotidiano, che la sua Agenzia entro pochi anni abolirà la fastidiosa dichiarazione dei redditi dei contribuenti, perché la farà fare in automatico dal super cervello elettronico del fisco semplificando grandemente il sistema.
Perché mai il contribuente dovrebbe fidarsi del fisco e regalargli il diritto a fare lui in prima battuta l’accertamento, mentre chi dovrebbe pagare dovrà fare ricorso, se si accorgerà che il fisco si è sbagliato? Perché ci si dovrebbe fidare della cartella del fisco proprio adesso che arrivano quelle Tari gonfiate e altre «cartelle pazze», che chiedono Iva o tasse di registro già pagate o multe per contravvenzioni compiute per inadeguatezza della segnaletica?
Ruffini a sostegno della sua tesi adduce le complicazioni del modulo della dichiarazione dei redditi del 1993, denominato «modulo lunare». Lui conserva quel modulo che creava grandi difficoltà ai contribuenti.
Ha ragione. Io – allora presidente della Commissione finanze e tesoro del Senato – il futuro modulo della dichiarazione dei redditi lo avevo battezzato «lunare» perché frutto di una marea di detrazioni dall’imposta o dall’imponibile fatte votare dai Ds ossia gli ex Pci futuri Pd, che avevano la maggioranza nella Commissione grazie ad alcuni voltagabbana.
Cercando di fare bocciare quegli emendamenti, osservavo che erano troppi: l’imposta deve essere semplice perché il cittadino possa capirla e ritenerla ragionevole.
Il teorema era, ed è, elementare come ogni cosa fondamentale. Le imposte si pagano con un modulo, con una procedura, se questa è complicata e incomprensibile, lo è anche l’imposta: che non è più il prezzo dei servizi pubblici, ma una taglia.
Il rimedio all’imposta resa complicata dal prevalere di gruppi di interesse e dal perfezionismo dirigista non è l’abrogazione del diritto del cittadino a dichiarare il reddito, il volume d’affari, il valore dell’immobile che trasferisce, sostituendoli col computer del grande fratello fiscale.
Il rimedio è la semplificazione tributaria. Certo spesso dobbiamo ricorrere al commercialista. Ma lo dobbiamo fare anche quando il fisco ci manda cartelle che non ci sembrano da pagare.
Fare a meno dei commercialisti è il primo passo, per fare a meno degli avvocati e poi dei Parlamenti. Andare a votare può essere fastidioso e il Parlamento costa. Nel «mondo nuovo» non ce n’è bisogno.
C’è un computer che decide per noi e la «rete» per protestare, sperando che ci dia ragione. [spacer height=”20px”]
Francesco Forte, Il Giornale 12 novembre 2017