La destra parla da anni di giustizia utilizzata come arma politica, di complotti subiti e di supposti colpi di Stato. Da sinistra li guardavano con sufficienza e compatimento.
Circa l’inchiesta Consip e quel che sta emergendo dice Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato: “se tutto questo è vero c’è stato un complotto che ha visto coinvolti organi dello Stato e puntava all’eversione”. Vari altri, a sinistra, hanno usato questo stesso registro.
Quindi ci siamo: dalle due parti si avverte il medesimo pericolo. Siccome qui lo si avverte da lustri, non lascio correre e non condivido. La colpa di quel che accade è di chi se ne sente vittima.
Il problema non fu stabilire se l’inchiesta aveva un piglio persecutorio, perché lo aveva eccome, il problema fu sapere se il prosecutor sarebbe riuscito a dimostrare le accuse che aveva rivolto al presidente degli Stati Uniti, Clinton. Non ci riuscì e dovette cambiare mestiere.
Un suo collega mise in galera il direttore del Fondo monetario internazionale, Strauss Kahn, con l’accusa di violenza carnale. Non si contestò il suo potere di farlo, ma lo si chiamò in aula per mostrare le prove: non le aveva, era una bufala, cambiò mestiere.
Gli errori esistono e, benché spiacevoli, sono ineliminabili. Ma si può limitarli, ad esempio facendo in modo che chi sbaglia non continui nell’opera.
Il ministro della giustizia francese o tedesco, giusto per citare due grandi Paesi europei, non possono in nessun modo interferire con un processo e sull’azione di un giudice, ma possono prendere un pubblico ministero e rimuoverlo, togliergli l’inchiesta, trasferirlo o mandarlo a casa. Perché l’esercizio dell’accusa non è una funzione della giustizia, ma del potere governativo.
La giustizia serve a difendere la collettività dai rei e gli accusati dai loro accusatori.
Da noi è un troiaio perché nessuno è mai responsabile di niente e i processi non si fanno mai. Farli dopo dieci anni è come non farli mai.
Le accuse mosse agli indagati del caso Consip, compresi i congiunti di chi allora era presidente del Consiglio, stanno sullo stesso piano delle accuse ora rivolte agli accusatori. Le parole spese contro quella polizia giudiziaria stanno sullo stesso piano delle parole di quei militi, che negano e respingono al mittente.
Così procedendo s’aziona solo il frullatore dei veleni, lasciando scorie che non saranno assorbibili. Il solo modo per uscirne è disporre di una qualche verità giudiziaria, talché chi ha sbagliato cambi mestiere, ove nondebba anche accomodarsi in galera.
Quindi, a destra come a sinistra, invece di animare illacrimoso lamentio per le presunte ingiustizie subite, avvertano il lancinante dolore dei loro fallimenti, della loro incapacità di fare la sola cosa cui sono deputati: far funzionare la giustizia.
Gli uni e gli altri si spesero e si spendono per far passare leggiucole fesse e ipocrite, l’ultima destinata ad allungare i tempi di prescrizione, come se i problemi di una giustizia troppo lenta possano essere affrontati allungando i tempi.
La colpa di quel che accade loro è di loro medesimi. A turno furono giustizialisti con gli avversari e innocentisti con gli amici, così mostrando incultura del diritto. Ma in continuità furono vili e inutili, sperando ciascuno di contrattare con il potere giudiziario e trascurare la giustizia.
Questa è la ragione per cui non avverto alcuna compassione.
Cosa sia necessario fare lo sappiamo e lo abbiamo scritto decine di volte. Se qualcuno è disposto a quella battaglia di civiltà (e di produttività, perché il troiaio è costoso e uccide il diritto, soffocando il mercato), siamo pronti.
In caso contrario ciascuno si tenga gli accusatori e le inchieste che merita.
Davide Giacalone, 15 settembre 2017