Esiste il diritto, ma andrebbe studiato. Una noia. Poi esistono le tifoserie, talché da una parte s’ode un “giustizia!” e dall’altra s’intona un “complotto!”, ciascuno convinto, ma proprio convinto, che i magistrati stiano tutti da una parte e ce l’abbaino con la mia. I destri dicono che le inchieste fecero cadere solo Berlusconi, i sinistri che fecero cadere solo Prodi, così riuscendo ad avere torto entrambe nel mentre provano a dire una cosa vera. Ed esistono gli altri, che non tifano perché si schifano. Così si parla di quel che il giudice Amedeo Franco disse da un divano e non di quello che si legge nelle sentenze. Vero è che nulla è più inedito di quel che è stato pubblicato, ma almeno ci si potrebbe domandare come mai quel che era noto e silente ora è discusso animatamente.
I fatti. Il primo agosto del 2013 la sezione feriale della Corte di cassazione conferma la sentenza di condanna in capo all’imputato Silvio Berlusconi. Non entriamo nel merito e proviamo a non farci distrarre dagli strilli. Una anomalia c’era, curiosamente segnalata dalla stessa cassazione: la sentenza era firmata da tutti i membri del collegio. Quasi una petizione. Che ciascuno volesse la propria foto con il leone abbattuto, carabina, bermuda e caschetto coloniale annessi? Quisquiglie, sembrò. Meno di un anno dopo, il 20 maggio del 2014, la terza sezione, quella che avrebbe discusso il caso se non si fosse ricorsi alla feriale, si pronuncia su un processo proveniente da Torino, con fatti analoghi. Si legge in sentenza: “In sostanza, la corte d’appello appare aver adottato una interpretazione (analoga a quella poi seguita dalla Sezione Feriale 1/8/2013, n. 35729) (…) Si tratta però di una tesi che non può essere qui condivisa e confermata, perché contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte ed al vigente sistema sanzionatorio dei reati tributari”.
A stabilire che la sentenza dell’agosto 2013 fosse difforme dalla “assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte” non fu una chiacchiera da salotto, suppongo ignara d’essere registrata, ma una regolare sentenza depositata.
Tutto questo lo raccontai nell’aprile del 2015. Posto che la cassazione esiste quale giudice di legittimità ed ha una funzione nomofilattica, che significa garantire l’uniformità dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto, e posto che le massime aiutano i futuri giudici di merito (e gli avvocati) ad attenersi a quell’uniforme interpretazione e applicazione, la sentenza di cui parliamo è accompagnata da alcune massime, in calce alle quali ci sono i riferimenti a varie sentenze, sempre della cassazione, “conformi”, vale a dire che sostengono la stessa cosa. E c’è la “difforme”: una, la numero 35729. Quella che condannò Berlusconi. Sicché chiedevo: in cassazione leggono le sentenze della cassazione? Rispose, si fa per dire, l’ufficio stampa della suprema rilevando, nella sentenza del 2013, la “presenza di alcune espressioni palesemente superflue rispetto al tema della decisione”.
Ma il problema mica era quello, bensì: a. la funzione nomofilattica era andata a farsi benedire; b. sebbene sia disdicevole, specie in cassazione, ma può capitare che giudici diversi si regolino diversamente, ma qui c’era la particolarità che a scrivere le due sentenze era stato il medesimo relatore. Amedeo Franco. Questi sono i problemi. Grandi come case. Che riguardano tutti, non la sorte di uno solo. Ma che non si vollero vedere. E, del resto, non vorrete che gente dabbene s’intristisca per una condanna di Berlusconi? In quanto all’intristirsi per la cassazione cassata dalla cassazione, suvvia: giù risate.
Ora esce una registrazione e tutti vogliono vederci chiaro. Chi per sapere come sia stato possibile sentenziare in quel modo, chi per sapere che ci facesse quel giudice sul divano. Della serie: al diritto preferiamo le volée. Vogliono vederci nel 2020 ma furono cisposi nel 2014. Si avvii l’operazione: occhi puliti.
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