Il giurista: «La forza della democrazia sta nell’aver incluso chi ha antiche radici autoritarie»
ROMA. Il professor Sabino Cassese ha appena finito di ascoltare il discorso della presidente Giorgia Meloni e, a caldo, suggerisce una delle sue notazioni sulfuree: «Ha usato tre toni di voce. Uno squillante, leggendo rapidamente la lunga lista di buoni propositi. Uno intermedio, riflessivo, per sottolineare alcune impostazioni. Infine, uno quasi sussurrato, senza leggere, per far capire chi era la locutrice. Un buon “acting”». Sabino Cassese, come si sa, è uno dei più importanti giuristi del secondo dopoguerra, ma anche un profondo conoscitore da “dentro” della politica italiana e in questa intervista a La Stampa colloca il discorso di Giorgia Meloni in un contesto più ampio di quello contingente.
Molta attualità politica e uno sguardo generico sui prossimi cinque anni?
«Un programma di governo, dichiaratamente di durata decennale, va giudicato in base a sei criteri: l’orizzonte ideale nel quale si muove, la collocazione internazionale proposta, la prospettiva temporale indicata, gli obiettivi prescelti, i mezzi preferiti, infine, le assenze, i temi che non ci sono».
Non le è parso un discorso senza un ’idea di Paese e di Europa?
«Se si considerano i primi tre criteri insieme, va riconosciuto che nel discorso sono presentati un solido orizzonte ideale, una robusta collocazione internazionale e una lunga durata. L’orizzonte ideale è quello della Costituzione, di tipo liberale e democratico, antifascista, con un riferimento all’Occidente; in più, sia la sottolineatura del vincolo rappresentati-rappresentanti, sia il riconoscimento del valore dell’opposizione. Tra questi si insinuavano toni anti-oligarchici, che mostrano la penetrazione del populismo in tutte le forze politiche italiane.
Quanto alla collocazione internazionale, mi sembra che sia stata chiara l’adesione all’Unione Europea e all’Alleanza atlantica, così come è stata chiara la critica all’invasione russa. I toni critici dell’Unione Europea c’erano, ma in termini di una sua insufficienza; insomma, per fare di più, non di meno. Quanto alla prospettiva temporale, è chiaramente decennale, come risulta dalla critica a 10 anni di governi deboli e instabili e dalla indicazione di 10 anni come prospettiva futura. Il governo conta su questa e sulla prossima legislatura».
Nei commenti c’è chi si sofferma di nuovo sulla questione fascista: la distanza le pare convincente e sufficiente?
«Non soltanto la distanza dal fascismo, ma anche le chiare indicazioni relative a libertà e democrazia. Sarebbe bene che l’opposizione si liberasse del punto di vista fascismo-antifascismo, giudicando il governo per quello che propone e per quello che fa. La forza di 75 anni di democrazia sta anche in questo, di avere abituato alla democrazia coloro che hanno le loro antiche radici in un regime autoritario».
Le priorità di Meloni le paiono quelle giuste?
«Più che esprimere un giudizio personale, provo a fare il seguente esercizio. Prendo il volume più aggiornato e interessante sulla storia repubblicana, quello curato da Luca Paolazzi su “75 anni di storia economico-sociale e 23 di stallo” e contiene 150 pagine di dati comparativi su Italia e altri Paesi. Gli obiettivi indicati dal nuovo governo centrano quasi tutti i problemi analizzati in quelle pagine su finanza e crescita, con un approccio pragmatico e rassicurante, insistendo sull’avanzo primario, sul risparmio privato.
Un rapporto tra Stato e economia di impianto liberista, favorevole a deregolazione e de-burocratizzazione, ma che punta su reti pubbliche. Attenzione per i tre grandi problemi del Paese, scuola, sanità, divario Sud – Nord. Accenti diversi da quelli dei suoi alleati di governo in materia di pensioni (con attenzione per la flessibilità e per le garanzie dei giovani) e sull’immigrazione (con attenzione più alle partenze che agli arrivi), più allo sviluppo dell’Africa mediterranea che alla chiusura dei porti e la geniale idea di un piano Mattei che riprenda l’esperienza di quel grande imprenditore».
Il presidenzialismo? Non se ne farà nulla anche stavolta?
«Il capitolo dei mezzi non si ferma al presidenzialismo. Riguarda anche l’autonomia differenziata, ma attenuata dal rafforzamento delle risorse per Roma e dall’accento sulle autonomie locali. Riguarda anche la burocrazia con reintroduzione dei criteri del merito. Riguarda anche la giustizia, con processi solleciti. Sulla riforma presidenziale non c’è stata una chiara scelta tra le decine di soluzioni che si presentano, ma è stata indicata l’opzione che tende a premiare la stabilità dell’esecutivo. Questo è un obiettivo importante in un Paese che in 75 anni inaugura il proprio 68º governo».
Quindi una valutazione positiva?
«Si, complessivamente, anche se la critica di bonus e ristori doveva continuare con programmi di investimento; sul fisco, a temi condivisi da tutti, come la lotta alla evasione e la riduzione del cuneo fiscale, si accompagnano anche idee molto criticate come la tregua fiscale e la tassa piatta. La critica alla limitazione delle libertà nella fase acuta della pandemia poteva essere risparmiata, anche perché non accompagnata da indicazioni su quello che farebbe il nuovo governo se si trovasse di nuovo davanti a una recrudescenza della pandemia. Il riferimento ai lavoratori autonomi costituisce un richiamo di tipo elettorale. E i lavoratori dipendenti? Interessante il riferimento all’ Europa: ha unito l’interesse nazionale ad un destino comune».
Un forte apparato retorico e tanti messaggi di metodo: sono libera, faremo cose che ci costeranno consenso, non tradiremo. Il profilo di una destra sociale fuori dal Palazzo, un romanticismo pronto alla “bella sconfitta”? O anche un’alterità effettiva da parte di una “underdog” combattiva che potrebbe rompere consuetudini?
«Un discorso da combattente, forse troppo lungo, che non mostrava le crepe che vi sono nella coalizione di governo, uno dei due punti deboli, insieme a quello delle strutture serventi e degli apparati di staff, della classe dirigente a cui far capo».