La gara al rilancio non ha senso ed è dannosa per tutti. Il più capace è quello che smorza per primo, avendo in mente la difesa degli interessi nazionali. Del problema degli sbarchi ci siamo occupati. Nella distribuzione degli sbarcati non ho mai creduto, in ogni caso non è fra le cose che stanno in cima agli interessi italiani. Dopo l’efficace tessitura fatta dalla presidenza Draghi, nei rapporti con la Francia, sarebbe una follia tornare all’insensato sparacchiare del primo governo Conte.
Il governo italiano è appena partito, l’opposizione non sembra godere di invidiabile salute, senza secessioni nella maggioranza di destra non esistono maggioranze alternative. Ciò comporta che il governo appena nato ha del tempo, tendenzialmente abbondante, davanti a sé. Visto che lo ha, se lo prenda. Con calma. Senza la fretta di dovere subito dimostrare tutto il dimostrabile. Tanto più che si è votati non per compiacere i votanti, ma per provare a realizzare le cose che si sono promesse. E ci vuole tempo.
È più facile prodursi in alcune azioni dimostrative che non in fatiche realizzative. Ma le prime volano via, mentre contano le seconde. Interpretare l’avvio del governo come continuazione della campagna elettorale può compiacere, ma porta male, perché incorpora una fretta che è assai cattiva consigliera. Il decreto legge su rave e invasioni ne è una dimostrazione, tanto che gli stessi autori ne auspicano la modifica, riconoscendone la necessità.
Alexis Tsipras, da sinistra, aveva costruito il successo elettorale soffiando sul fuoco di paure e proteste. Giunto al governo è stato subito pressato dal protagonismo alternativo del suo ministro dell’economia, Yanis Varoufakis, che lo incalzava chiedendogli di dimostrare coerenza e andare alla rottura dei vincoli europei. Tsipras scelse di rompere con Varoufakis, regalandogli il ruolo di adorato leader europeo di tutte le minoranze antagoniste e irrilevanti di sinistra, scelse di mettere in sicurezza i conti della Grecia. Il suo Paese gli deve molto. La sua capacità di fare politica (vera) gli ha conquistato un posto nella storia greca. E, dettaglio di passaggio, non gli ha fatto perdere voti (è Varoufakis che non li prende).
La Francia e l’Italia hanno comuni interessi nella più importante partita europea in corso: la modifica del patto di stabilità. Draghi è riuscito a rimediare a un guasto storico, interno all’Unione europea, ovvero che la Francia non facesse mai blocco con i latini, preferendo l’asse con la Germania. Per ottenere questi risultati occorre perizia e prudenza, mentre è puerile supporre che tutto si giochi su un miserevole tavolo del dare e avere.
Tanto è vero che l’importante unità europea è stata mantenuta sulla linea dura, nei confronti dei russi invasori, nonostante la Francia non sentisse proprio lo slancio e avesse ripetutamente provato a mediare (e i rifiuti di Putin a Macron restano la prova che voleva la guerra, non il negoziato), e nonostante per la Germania fosse un danno economico grande e permanente. Non serve la logica del baratto. Serve la capacità di inserire le questioni particolari nella logica dei più alti interessi nazionali e comuni. E se qualche nodo ferma il pettine, il saggio non ne forza la corsa, rompendolo o strappando lo scalpo, ma lo aggira per scioglierlo.
È un grosso guaio se chi governa non riesce ad essere protagonista delle scelte che compie, restando attore secondario che si esibisce per strappare un applauso alla propria tifoseria. Ed è un guaio anche peggiore se i nazionalismi raggiungono il grado di ottusità che spinge a non distinguere gli interessi che si confrontano, sollecitando solo la difesa dei propri colori. L’Italia in cui ci si rimproverava d’essere “al servizio” di altri Paesi era quella in cui si era: <<calpesti ,derisi/ perché non siam popolo,/ perché siam divisi>>. Il canto degli italiani. Dal suo incipit: Fratelli d’Italia. E si era <<pronti alla morte>>. Mentre altri canta: <<l’etendard sanglant est levé>> (Marsigliese).
Quello è il glorioso passato. Oggi siamo concittadini. Calma, quindi. E si badi al sodo.