Un tempo sospeso. In attesa di vedere se la condotta cui ci siamo costretti riesca ad ottenere lo scopo: far calare la curva dei contagi. Alla prossima stagione epidemica ci sarà il vaccino. Anche ora non è che non si sappia soccorrere chi ne ha bisogno, ma si deve evitare che siano troppi nello stesso momento. Questa è la ragione che ci tiene chiusi in casa, negli uffici, nei posti di lavoro.
L’Italia, però, non è chiusa, come qualcuno va ripetendo. Intere filiere produttive restano aperte al pubblico. Dietro i punti vendita ci sono moltissime persone al lavoro. Pensate al settore alimentare, che comporta produzione, preparazione, confezione, trasporto, vendita. Abbiamo tutti un debito verso chi non si ferma, correndo anche dei rischi, e quanti non si fermano hanno un debito verso gli altri attivi, cui devono il soddisfacimento di bisogni essenziali. Al primo posto, naturalmente, il personale sanitario, che si muove nella trincea più esposta.
Andando da casa al lavoro ci si sente straniti. Se, sempre per ragioni di lavoro, ci si muove in ore non di punta si contano i passanti sulle dita di una mano. E ci si saluta. La ritrovata cortesia incoraggiata dalla comune sorte. Quel che era normale, scontato, è al momento non disponibile. Almeno serva a ricordare, anche dopo, anche quando sarà finita, che è ricchezza anche il muoversi fra le persone, fra le distrazioni, le librerie, i bar, i negozi. Magari senza comprare o bere nulla, ma ricchi del fatto che ci sono, che si è parte di un ambiente vivo. Qualche volta ci ha dato fastidio l’eccesso di vitalità, la confusione, il traffico, il buttadentro del ristorante che cerca di illustrarti il menù. Ricordiamocene, di quanto è bello il mondo nel quale viviamo.
E vediamoci a cena fuori. Non so quando. Presto.