CO2 e paradosso ambientalista: l’Italia fa bene ma rischia salasso UE da 25 miliardi

CO2 e paradosso ambientalista: l’Italia fa bene ma rischia salasso UE da 25 miliardi

Secondo i dati ISPRA, le emissioni italiane di gas serra sono diminuite del 26% dal 1990. Un risultato ragguardevole, ma il legislatore europeo non sembra essere dello stesso avviso. L’Italia, infatti, ha ecceduto gli intransigenti parametri stabiliti dal Regolamento Effort Sharing dell’UE per il terzo anno consecutivo. Il rischio concreto, come stimato dal think tank ECCO, è che il nostro Paese si trovi costretto a sborsare la cifra monstre di 25 miliardi di euro per acquistare le quote di CO2 in eccesso: una somma grosso modo pari a quella di una manovra finanzia.

La normativa, infatti, imporrebbe al nostro Paese una riduzione del 43,7% delle emissioni entro il 2030 rispetto ai valori misurati nel 2005, in settori chiave quali i trasporti, gli immobili e l’agricoltura: un obiettivo implausibile, eccessivamente ingeneroso e che mortifica gli sforzi profusi di un Paese le cui emissioni contribuiscono a malapena allo 0,9% dei livelli di CO2 globali. Il tutto, in un contesto in cui le nazioni più inquinanti al mondo, Cina e India, registrano rispettivamente aumenti vertiginosi del 262% e 197% delle emissioni dal 2000 a oggi.

A riprova dell’assoluta severità delle politiche climatiche comunitarie, faranno probabilmente compagnia all’Italia nello sforamento tutti gli altri Paesi europei, ad eccezione della Spagna. Non a caso, la Commissione starebbe valutando un ritocco verso il basso dell’ancor più utopico target di riduzione delle emissioni del 90% rispetto al 1990 entro il 2040, sotto le pressioni di governi e interi segmenti dell’industria. Il solo automotive, infatti, lamenta che le multe a cui sarebbe soggetto per il mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati al settore ammonterebbero a circa 15 miliardi. Mercato, quello automobilistico, su cui già grava l’incombenza di una transizione energetica forzata, con il totale divieto, a partire dal 2035, di immatricolazione di veicoli a benzina e diesel.

La procedura di Bruxelles, insomma, sarebbe un salasso immeritato, espressione di un dogmatismo climatico oltranzista, che non tiene minimamente conto di una congiuntura economica e geopolitica estremamente sfavorevole. Così, l’intransigenza del legislatore europeo perde di vista la genuina tutela dell’ambiente e delle sue risorse e mina la competitività delle nostre aziende, già messe a dura prova dai dazi di Trump e dalla concorrenza di merci, prevalentemente asiatiche, prodotte secondo normative sensibilmente meno stringenti.

Proteggere i nostri interessi e le nostre industrie”, come dichiarato dal Presidente Von Der Leyen, è ambizione inconciliabile con politiche ideologiche e che rifuggono ogni forma di sano pragmatismo. Per dirla con il Premier polacco Donald Tusk, “se andiamo in bancarotta, nessuno si preoccuperà più dell’ambiente”. Al suo appello di sospendere il Green Deal europeo si è unita la Presidente Meloni, nella speranza di fare fronte comune per ristabilire un pizzico di buon senso.

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