Caiazza, nuovo presidente dell’Ucpi e autorevole membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, parla delle priorità e proposte al governo: no allo stop della prescrizione, processi piu corti e meno demagogia. Dal Tempo del 22 ottobre 2018
Gian Domenico Caiazza è il neo presidente dell’Unione delle Camere penali italiane. In passato presidente della Camera penale di Roma e segretario della Fondazione Enzo Tortora, l’avvocato Caiazza è stato eletto ieri a Sorrento a capo della giunta che guiderà l’Ucpl nel biennio 2018-2020, succedendo a Beniamino Migliucci.
Quale sarà la cifra distintiva della sua presidenza?
Abbiamo la necessità di chiamare a raccolta tutte le energie politiche parlamentari, accademiche e culturali che si riconoscono nei valori di una giustizia penale liberale. Sono tempi durissimi, in cui sono in discussione le garanzie delle persone. L’opinione pubblica non percepisce questo allarme, pensa che la reazione “securitaria” li metta al sicuro. Invece i diritti in gioco sono i loro. Ci si accorge di che cosa significa un Paese che non rispetta le regole del processo penale solo quando ci si finisce dentro. Solo allora si scopre il valore della presunzione di non colpevolezza e della libertà personale.
Su quale appoggi politici pensate di poter contare?
C’è una maggioranza schiacciante su posizioni op-poste elle nostre. Abbiamo di fronte uno schieramento populista e giustizialista motto compatto e intorno il deserto, a parte l’eccezione dei radicali. Non c’è più niente, non c’è una sponda. Dobbiamo cercare di riunificare le forze politiche sparpagliate e nascoste.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha disertato il vostro congresso. È un segnale di chiusura al dialogo, oltreché uno sgarbo istituzionale?
Sicuramente è uno sgarbo istituzionale. Se non è il prima ministro che non partecipa al nostro congresso è tra i primi. È una scelta mediocre, che dimostra quali siano le sue priorità. Lo abbiamo visto incontrare sedicenti organizzazioni forensi. Non per questo non vogliamo rinunciare al dialogo. Non demordo, non mi metto a fare l’offeso. Magari qualche suggerimento sul tema delle carceri, che gli sta esplodendo in mano, potrebbe tornargli utile.
Bonafede però ha partecipato a Bologna al congresso dei vostri colleghi amministrativisti. Come mai?
Evidentemente con loro si sente più tranquillo. I temi penalisti sono più complessi socialmente. Noi siamo ormai un soggetto politico che si occupa di diritti delle persone. L’incontro con noi è un incontro politico, richiede più impegno.
Le divergenze con il governo sono tante, a cominciare dalla riforma sulla prescrizione. Cosa accadrà se dovesse essere approvata?
Chi vuole fermare i tempi della prescrizione si assume la responsabilità di decuplicare la durata del processo penale. I ruoli dei tribunali, delle corti d’appello e della Cassazione si affollano perché c’è il rischio della prescrizione. In alterativa si lavorerà meno e i processi si allungheranno ancora di più. Tra l’altro nel nostro Paese la prescrizione raggiunge già un numero di anni insensato. È scandaloso che uno venga imputato di rapina aggravata a 20 anni e possa essere processato fino a 40. Abbiamo bisogno di accorciare i tempi del processo, non di finire di sfasciarlo.
Il congresso di Sorrento l’avete intitolato: «La difesa delle garanzie nei tempi dei populismi». Anche il neo vice presidente del Csm ha recentemente criticato il populismo giuridico. Ci voleva un governo giallo-verde per avvicinare avvocati a magistrati?
Il populismo che governa questo Paese e il risultato di una semina venticinquennale di populismo giudiziario. Da “Mani pulite” in poi, abbiamo avuto una politica soggiogata e spesso ricattata da un potere della magistratura, che è andato oltre i suoi limiti costituzionali e ha diffuso l’idea che la politica fosse tutta corruzione e sporcizia e che il popolo dovesse essere salvato dall’azione provvidenziale e materna dell’autorità giudiziaria. II populismo è dilagato e si è fatto governo. E ora la magistratura ha perso il controllo. La politica populista fa a meno di loro, li tratta male. Alcune correnti, come Md, hanno iniziato a riflettere su cosa significhi aver marginalizzato i diritti processuali. Ci sono occasioni nuove di confronto che dobbiamo avere l’intelligenza di cogliere, senza pregiudizi ideologici. L’elezione di David Ermini a vice presidente del Csm e di Michele Cerabona come componente laico rappresentano un segnale che va in questa direzione.
La divergenza con le toghe resta insanabile sulla separazione delle carriere.
Chiederemo un incontro per assicurare la calendarizzazione della discussione del nostro disegno di legge. Non è più un’istanza degli avvocati, ma di 71 mila cittadini. La magistratura è compatta contro questa nostra proposta e noi le lanciamo un guanto di sfida. Visto che è la nostra Costituzione che impone la terzietà del giudice rispetto al pm e il difensore, diciamo ai magistrati: non vi piace la separazione delle carriere? Allora offrite un’alternativa per rispondere a questo comando costituzionale.
II governo, soprattutto nella sua componente Ieghista, sta invece spingendo per la riforma sulla legittima difesa. Cosa ne pensa?
Ne penso tutto il male possibile: è una riforma pericolosa, una delle tante risposte illusorie tipiche della politica populista. Non c’è nulla che possa sottrarre un fatto di rilevanza penale alla valutazione del giudice. Accadrà sempre che chi ha sparato e ammazzato, se le modalità non sono chiare, sarà oggetto di indagine. Non solo è barbaro il principio, ma è minimo il risultato. Demagogia pura.
Valeria Di Corrado, Il Tempo 22 ottobre 2018