Il Trattato del Quirinale ha un significato che supera il pur importante contenuto delle 60 pagine che saranno firmate. I nostri due Paesi hanno storie fortemente intrecciate, con pagine splendide e altre da ricordare per non ripeterle. Il futuro ci lega ancor di più, al punto che affrontarlo separatamente, se non addirittura conflittualmente, sarebbe atto reciprocamente autolesionista.
Due anni fa la Francia richiamò il proprio ambasciatore. Il momento di crisi fu provocato da colpe italiane e di un governo incosciente, impreparato e arrogante. Posto che il patriottismo è cosa non solo diversa, ma opposta al nazionalismo, in entrambe i Paesi sono presenti forze che subordinano la loro convenienza propagandistica agli interessi nazionali indisponibili. Quando la crisi dei debiti colpì l’Europa fu un presidente francese della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, a commettere errori e peggiorare le cose. Toccò a un presidente italiano rimediare, in quel modo aiutando moltissimo anche la Francia. Quel presidente oggi guida il governo italiano e quella partita è ancora aperta, perché si dovrà rivedere il patto di stabilità. Francia e Italia hanno interessi comuni, largamente prevalenti sugli interessi in contrasto. E questo è il primo e più importante fronte: dentro l’Unione europea non devono esistere assi o rapporti preferenziali, ma la pragmatica valutazione e convivenza degli interessi. Ragione buonissima perché Francia e Italia marcino assieme. Considerato anche che il prossimo anno la presidenza di turno europea sarà per sei mesi francese.
La seconda partita è relativa alla difesa e al settore militare. Possiamo scontrarci o accordarci, ma nel primo caso le nostre spese nazionali sommate ci collocano sopra il livello del Regno Unito e della Russia, nel secondo le spese divise sono destinate a ruoli residuali. La questione non è su come saranno composti i reggimenti, ma su come l’industria della difesa sarà integrata. KMW e Nexter, unione franco-tedesca, chiede di comprare il settore difesa di Leonardo (ex Finmeccanica), mentre Fincantieri è tecnologicamente avanti e in grado di acquisire i cantieri francesi (il tema dell’antitrust rallenta, ma non ferma). Così non andiamo lontano. Integrare significa collaborare, tutelando gli interessi di ciascuno e mettendoli in sinergia.
Se i francesi Arnault e Pinault comprano marchi della moda italiana (Gucci, Bulgari, Loro Piana) non è perché loro sono aggressivi e noi invasi, ma perché quei privati italiani vendono. Armani no, per ricordarne uno. Per crescere ci si espande, non si difende il cortile. Se Fca e Psa creano Stellantis compiono una libera scelta finanziaria e industriale, ma se lo Stato francese resta azionista (di minoranza) si crea uno squilibrio. Il compito dei governi è creare la cornice dentro cui questi interessi si incontrino e si scontrino, senza mai produrre rotture. Ci si guadagna, in tutti i sensi.
La Ragione