Proprio perché si tratta di una questione con forti risvolti morali, va affrontata senza moralismi. La “pace fiscale” è quella che chiede il contribuente onesto, cui vengono chiesti troppi soldi e con le entrate che inseguono le uscite, anziché le uscite che si adeguano alle entrate. La “pace fiscale” la desidera chi partecipa a una guerra fiscale continua e ossessiva, che al prelievo eccessivo unisce regole, ostacoli, complicazioni e astrusità che rendono infernale la vita delle persone per bene. L’evasione fiscale “per necessità” è una scusa elaborata per giustificare gli evasori, ma non esiste in un sistema appena appena accettabile. Se la necessità è reale, la causa sta in norme fiscali che fanno schifo, quindi si cambiano. Se invece ho speso diversamente i soldi che non mi ritrovo quando si tratta di versare al fisco, la sola necessità esistente è che questa condotta venga sanzionata e non premiata. I favoreggiatori dell’evasione fiscale provano e riprovano a corrompere anche il vocabolario.
I condoni, perché così si chiamano, hanno tutti i possibili aspetti negativi ma anche due positivi: 1. sono utili a chiudere i contenziosi passati una volta cambiate le regole; 2. servono a prendere soldi a chi non li ha versati, anziché continuare a rivolgersi soltanto a chi li versa.
Il dramma è che si sono fatti condoni – e ora li si propongono – senza che ricorra nessuna delle due condizioni. La legge delega sulla riforma fiscale si trova al Senato. Se tutto dovesse andare secondo i piani del governo potrebbe essere approvata prima della pausa estiva, il che comporta la possibilità di mettere mano ai decreti attuativi e sperare (sperare) di avere operatività all’inizio del 2024. Tenendo presente che quella legge prevede una gradualità molto estesa, fino al 2027, il che esclude la piena operatività immediata. Se si comincia ora a parlare di condoni va a finire che smettono di pagare pure i timorati del fisco.
E siccome nessuno crede più al fatto che il condono in arrivo sia l’ultimo, salta anche la seconda condizione, come dimostrano i 4 condoni fatti in 7 anni, denominati “rottamazioni” e il cui gettito è stato largamente al di sotto del previsto. A questo aggiungete che il fisco vanta crediti verso evasori per 1.153,38 miliardi, ma conta, se tutto va bene, di poterne incassare 114. Meno del 10%. Significa che il 90% dell’evaso non lo si vedrà mai più. Ecco perché i condoni non raccolgono i soldi che promettono, giacché la minaccia di andarseli a prendere con le brutte non ha credibilità.
A parte che tutti i giorni dell’anno hanno la loro ricorrenza fiscale, questa settimana noi partite Iva, alias “autonomi”, versiamo il nostro consistente obolo. Per chi onora le regole una quota enorme di quanto incassato. Ma entro la fine dell’anno arriva l’altra botta. Proprio perché paghiamo e paghiamo moltissimo, ci va la mosca al naso quando sentiamo dire una cosa vera, cioè che parte consistente dell’evasione fiscale si annida nel lavoro autonomo. Ci arrabbiamo, perché l’incapacità fiscale dello Stato finisce con il dilapidare i nostri soldi e pure con il farci aggregare agli evasori. Il millesimo condono lo prendiamo come una pernacchia in faccia e se anche sarà chiesto tutto il dovuto una cosa è pagare questa settimana, un’altra l’anno prossimo. Avrete fatto caso all’inflazione?
Dice Matteo Salvini che il condono dev’essere fatto per i bisognosi, non per «gli evasori totali, completamente ignoti al fisco, che per me possono andare in galera buttando la chiave». Non è la prima volta che si trova al governo: che fine fece la chiave? A proposito del catasto, manco chi ha una casa intera non dichiarata volevano scovare!
Dunque, senza moralismi: gli evasori non credono più alla minaccia fiscale. E non hanno torto, visto che i voti li si raccatta non promettendo di far pagare il dovuto a tutti, non annunciando meno prelievi in ragione di meno spesa, ma promettendo di favorire chi evade, assicurando che la spesa sarà sostenuta a debito. Un (con)dono avvelenato.