I dipendenti di Alitalia, contro le previsioni della vigilia, hanno bocciato il piano di salvataggio della compagnia. Indipendentemente dalle motivazioni e dalle speranze che lo hanno mosso, l’effetto che il voto contrario sortisce è a mio avviso un contributo alla chiarificazione e alla soluzione di una ormai vecchia questione.
Non poteva certo soddisfare il modo in cui il governo aveva chiuso la vicenda qualche settimana fa, ripercorrendo una via già percorsa precedentemente più volte in modo costoso e fallimentare.
E con la sola prospettiva di un risanamento parziale e che avrebbe poi portato comunque alla cessione della compagnia fra qualche anno (a Lufthansa?).
Dicevamo delle motivazioni e delle speranze di chi ha votato no. Quanto alle prime, i lavoratori non vogliono pagare un prezzo davvero molto salato per responsabilità non solo né principalmente loro. Molto salato, in verità, il prezzo è anche, ma non esclusivamente, in virtù dei privilegi di cui essi hanno goduto nel passato, nel tempo delle “vacche grasse”. Un tempo che sicuramente non tornerà più.
Certo, le colpe sono imputabili prima di tutto alla politica in passato e poi ai vari manager che hanno portato al fallimento della compagnia e che per di più non ne hanno pagato nemmeno pegno.
Scelti da padrini potenti, valutati per la fedeltà e per il modo in cui assecondavano le richieste di chi li aveva messi a quel posto, quei manager non potevano certo fare scelte diverse da quelle che hanno fatto. Ma proprio perché è la politica, e il management politicizzato, che hanno rovinato l’azienda, proprio alla politica si richiedeva, e a maggior ragione si chiede ora, uno scatto di orgoglio.
Se non altro per dare un segnale di cambiamento, in questi tempi sempre più necessario, anzi vitale.
Se un’azienda è nelle situazioni in cui è arrivata Alitalia, accanirsi sul malato è immorale e ingiusto per il consumatore e per il contribuente.
Meglio staccare la spina, anche se la speranza recondita di chi ha votato no è che la politica ritorni sui suoi passi e offra ora condizioni più vantaggiose. Sarebbe un passo falso, un affronto a tutti noi che, appunto, paghiamo le tasse e prendiamo gli aerei.
Non si tratta di mandare sul lastrico tante famiglie. Si studino piuttosto corsie privilegiate di reinserimento per chi si troverà senza lavoro. Si lasci piuttosto morire l’azienda senza troppi indugi, casomai conservando il marchio per tempi migliori.
Si eliminino poi anche i privilegi che alcuni aeroporti accordano oggi alle compagnie private low cost. Si abbia finalmente il coraggio di instaurare un vero e libero mercato, un sistema veramente concorrenziale.
Ne beneficeranno i consumatori, gli imprenditori non assistiti, l’economia e la società tutta. Difficilmente si ripresenterà un’occasione come questa per riaffermare in un’ottica liberale il primato della politica, di mostrare sua capacità di essere soluzione e non essa stessa problema per la nostra vita pubblica.
Corrado Ocone, Formiche.net 25 aprile 2017