L’ emergenza derivante dalla pandemia attuale è uno stress test per le economie avanzate che da una parte devono evitare il default e il malessere sociale, dall’altra hanno un’occasione unica per ripensare le politiche e gli strumenti per la crescita.
In Europa, fino a questo momento, i Paesi coinvolti hanno assunto autonomamente misure anti cicliche, non coordinandosi tra loro, ma beneficiando della protezione dell’UE. Questa è stata assicurata, in primo luogo, dall’intervento della BCE, che ha attivato un programma addizionale di acquisto dei titoli pubblici e privati da 750 miliardi, seguito dalla sospensione del Patto di Stabilità, dall’ammorbidimento delle regole sugli aiuti di Stato, dalla costituzione dello strumento Sure (a favore dei disoccupati) e da altre iniziative volte a far fronte all’emergenza.
La sospensione del Patto di Stabilità non va sottovalutata. Ha una portata enorme sulle politiche di bilancio, perché pone sugli Stati nazionali la responsabilità di compiere scelte sostenibili e strategiche. In Italia deve esser spiegato con chiarezza all’opinione pubblica che le scelte di politica fiscale saranno rese possibili solo a fronte di nuovo debito, che dovrà essere restituito.
Anche i sostenitori più rigorosi di una finanza pubblica guidata dal principio del bilancio in pareggio considerano possibile, se non necessario, il ricorso all’indebitamento in situazioni di emergenza. Ma ad una duplice condizione: che le spese finanziate con l’indebitamento siano produttive e preferibilmente destinate a finanziare investimenti finalizzati a garantire anche alle generazioni future i benefici della spesa pubblica; che siano previste politiche di rientro dal debito in tempi ragionevoli. È per questa ragione che le politiche di bilancio dovranno essere selettive e mirare alla qualità degli interventi. La pandemia ha inciso sia sulla domanda che sull’offerta. Sarà dunque necessario elaborare piani di intervento che aiutino le imprese a fronteggiare una crisi che potrebbe essere più lunga di quanto in un primo momento pensato e che garantiscano, al tempo stesso, – sia pure per un periodo transitorio – le necessità delle categorie più deboli.
L’Italia è in grado di sostenere l’onere di questi investimenti? La sospensione del Patto di Stabilità ci permette di indebitarci ulteriormente, beneficiando peraltro di un contesto internazionale di crisi globale, in cui – per intenderci – le misure saranno accettate nelle cancellerie europee e sui mercati finanziari con maggiore tolleranza. Tuttavia, non può essere la sola politica monetaria, per quanto fondamentale, il motore della ripresa. É altrettanto fondamentale la qualità della spesa, che non potrà essere solo di carattere assistenziale, ma dovrà rispondere a una visione strategica del nostro futuro. L’emergenza ha dimostrato, se mai ce fosse stato bisogno, l’importanza di alcuni settori: sanità, infrastrutture materiali ed immateriali, ricerca ed innovazione.
In questi ambiti, in Italia sono già stati avviati alcuni programmi, come ad esempio quello per Transizione 4.0, che dovranno essere potenziati. L’emergenza ha già evidenziato la necessità di adattare i processi organizzativi, con la diffusione dello smart working o delle lezioni su piattaforme informatiche nel mondo scolastico ed accademico. Nei prossimi mesi anche le attività di internazionalizzazione si baseranno sempre più sulla digitalizzazione, con fiere e B2B virtuali.
Occorre dunque elaborare quanto prima una politica industriale che identifichi le priorità settoriali e gli strumenti necessari. L’Italia è il secondo Paese in Europa per manifattura ed export: come mantenere questo ranking, così come i posti di lavoro in una crisi globale?
Alcuni comparti, come quello turistico-alberghiero o come quello dell’industria della cultura, dovranno rivedere profondamente la propria offerta e prevedere una ristrutturazione. Sarà necessario sostenere alcuni settori, che non usciranno facilmente dalla crisi, e incentivarne altri, che potrebbero fungere da volano per la ripresa. É un cambiamento epocale, di cui bisognerà prendere consapevolezza e che può offrire nuove opportunità di sviluppo. La formazione continua, lo snellimento delle procedure amministrative, la tempestività dei processi decisionali saranno i fattori chiave di una exit strategy dalla crisi.
La crisi può rappresentare anche un’opportunità per favorire una maggiore integrazione europea. La discussione sui cosiddetti “corona bond” o sul MES non deve essere vista o interpretata come una guerra tra egoismi e nazionalismi o come la fine del progetto europeo ma come un segnale di vitalità delle istanze europee. La contrapposizione tra paesi del nord e paesi mediterranei si basa su situazioni fattuali differenti, ma anche su pregiudizi che sarebbe opportuno mettere da parte. Si é arrivati nell’Eurogruppo a un compromesso su un pacchetto di misure, anche innovative, che consentiranno agli Stati in difficoltà di beneficiare di fondi UE, fermo restando che anche in questo caso i prestiti dovranno essere restituiti e si dovrà fare i conti con la loro sostenibilità.
La UE ha già messo in campo vari interventi e la negoziazione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 offre l’occasione di introdurre nuovi strumenti e di aumentare il bilancio UE, per creare maggiori margini di azione. La digitalizzazione, l’innovazione e la creazione di campioni europei in alcuni settori strategici, come l’aerospazio, la ricerca, sono da tempo obiettivi UE. Progetti in questi ambiti rappresenterebbero un avanzamento concreto del processo d’integrazione, perché coinvolgerebbero filiere transnazionali, imprese e lavoratori dei paesi membri.
Lo Stato non dovrà assumere un ruolo dirigista, ma di “facilitatore”, disegnare la cornice regolativa. Dovrà definire un sistema di regole certe e trasparenti, che potranno condurre a una nuova configurazione della trama produttiva di cui potrà beneficiare sia l’Italia che l’Europa.
di Paola Brunetti e Emma Galli