Ancora ricordo l’impressione che mi fece leggere, nel 2006, “L’uso politico della giustizia”, scritto da Fabrizio Cicchitto. Un saggio documentatissimo che ricostruisce il rapporto malato tra giustizia e politica sin dal primo dopoguerra, in un crescendo che raggiunse il suo acme nel 1993 con Mani Pulite. Casi su casi di, come recita il titolo, uso politico delle vicende giudiziarie, ma soprattutto interviste, appelli, documento, stralci di relazioni congressuali da cui emerge la tendenza di alcune correnti della magistratura, con Md in testa, a farsi soggetto politico e ad abusare della propria funzione giurisdizionale per realizzare disegni e imporre originali forme di etica pubblica. Altro che separazione dei poteri: roba da giunta militare sudamericana.
Recentemente, ho letto il libro intervista all’ex potente capo dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, firmato da Alessandro Sallusti. Ne risulta con forza incontrovertibile lo spirito di cosca che governa il Csm, la bramosia di potere di molti giudici e pm, l’avvio di indagini pretestuose nate solo per stroncare la carriera di politici considerati avversari della casta giudiziaria o semplicemente portatori di idee non condivise. Da brividi.
Stamattina ho letto l’editoriale del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, da cui risulta l’esplicita mobilitazione delle toghe contro la riforma costituzionale cara a Giorgia Meloni. Nulla che incida sul rapporto tra potere esecutivo e potere giudiziario, eppure… Quelle che seguono sono le parole di Cerasa.
“Il primo episodio è legato alla discesa in campo di Giuseppe Santalucia, numero uno dell’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, contro la riforma costituzionale progettata dal governo: ‘Si tratta – ha detto il 7 novembre – di uno sbilanciamento e uno squilibrio a favore del potere esecutivo’. Alla riunione della corrente Area a Palermo, sempre il segretario dell’Anm, a ottobre, ha spiegato anche che rischi correrebbe il governo, nelle aule giudiziarie, portando avanti la sua riforma plebiscitaria. ‘Se le minoranze vengono escluse dal circuito della partecipazione decisionale è logico e inevitabile che cerchino nelle aule di giustizia quella voce che non hanno avuto nella fase della formazione della volontà generale, quindi aumenteranno i conflitti’. L’8 novembre, il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, aggiunge un carico ulteriore, sempre sul tema: ‘La riforma costituzionale? Si tratta di una truffa delle etichette, giacché l’esito dei proponenti è quello di sconvolgere l’equilibrio tra i poteri dello stato, riducendo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura tutta’.
Passano pochi giorni e alla riunione di Md a Napoli, il 12 novembre, i magistrati della corrente più a sinistra della magistratura aggiungono elementi in più, sempre sul tema riforme. Giuseppe Borriello, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, dice che la magistratura deve denunciare ‘la deriva burocratica del nostro lavoro’, afferma che ‘il compito dei magistrati è di tutelare gli interessi della collettività’ e ribadisce il fatto che le funzioni giudiziarie ‘non possano non essere ispirate da contenuti valoriali per non utilizzare un termine pericoloso che è quello ideologico’. Valerio Savio, giudice del tribunale di Roma, dice che Md deve difendere ‘con forza’ le sue posizioni contro la riforma, suggerisce di portare avanti questa ‘battaglia’ anche all’interno degli uffici e invita a mandare ‘forte e chiaro all’esterno questo messaggio’ costruendo rapporti con i comitati che si creeranno”.
Ecco, forte di queste tre letture, mi chiedo: ma c’è davvero qualcuno, in questo sciagurato Paese, convinto che Guido Crosetto l’abbia fatta fuori dal vaso?