In non molto tempo le nostre società sono diventate multietniche, le nostre diplomazie multilaterali, il nostro universo multiverso. Il multiplo o il molteplice o la moltitudine sembrano esser diventate le caratteristiche del nostro modo di essere e divedere Dio, uomo e mondo (secondo la cara vecchia triade della, addirittura, metafisica di una volta).
La molteplicità di cose e idee è così forte che presto si è trasformata anche in una visione politica che ha preso il nome di multiculturalismo. Che cos’è? È l’idea o convincimento che alla moltitudine di genti, etnie e popoli corrispondano una molteplicità di culture e che le culture siano diverse le une dalle altre, senza che sia possibile decretare la superiorità di una sulle altre.
Il multiculturalismo ritiene che possiamo avere un quadro intero dell’umanità solo mettendo una accanto all’altra le genti e le culture, come in una bella fotografia di Benetton in cui vi sono maschi e femmine di tutti i colori o come nell’arco dell’arcobaleno che spunta con il sole tra cielo e terra dopo la pioggia.
Ma siamo davvero così sicuri che l’umanità sia data dalla somma che fa il totale? Non è possibile, invece, che in ogni cultura e in ogni singolarità – sia essa bianca o nera, gialla o rossa o sia come sia – abiti l’umanità? Il multiculturalismo è la banale constatazione della multietnicità.
Se viene trasformato in una teoria o in un programma politico – come accade non di rado – si sbaglia in modo grossolano proprio perché non si intendono le culture che vengono trasformate in birilli da mettere uno di fianco all’altro.
Il relativismo culturale, parente del multiculturalismo, è cosa seria che ci mostra una parte di verità – la relatività delle cose umane, troppo umane – ma non va tralasciato il piccolo particolare che esso stesso, il relativismo, è figlio di una cultura e non può ambire a valere per tutti senza essere colto con le mani nel-la marmellata: la evidente contraddizione di un inservibile relativismo assoluto.
Come se ne esce? Prendendo atto che le culture, proprio perché non sono birilli o tessere di un puzzle con cui si costruisce il mosaico dell’umanità, sono già universali e proprio per questo motivo cozzano tra loro giacché il bene, diceva il vecchio Hegel, cozza con il bene.
Per governare le moltitudini delle nostre società serve una teoria vera: il pluralismo. Rispettando le diverse culture, il pluralismo ha come riferimento la cultura della libertà che è l’unica – superiore o no che sia –che consente a genti diverse di convivere sen-za scannarsi.