Istituzioni a confronto sul libro di Benedetto, Fondazione Einaudi. L’autore: «Va tutelato il Parlamento, non i parlamentari»
Uno spartiacque nella storia del Paese, una pagina che ancora oggi avvelena: tangentopoli. L’occasione per “rileggerla” e interrogarsi sul futuro della democrazia è stata la presentazione del libro di Giuseppe Benedetto (presidente della Fondazione Einaudi), dal titolo “L’eutanasia della democrazia”, avvenuta in municipio a Pordenone.
Stimolati dal condirettore del Messaggero Veneto, Paolo Mosanghini, i relatori hanno tratteggiato la stagione delle riforme che attende l’Italia. In platea il presidente di Confindustria Michelangelo Agrusti, il consigliere regionale Alessandro Basso, avvocati (tra cui Caterina Belletti, Orsola Costanza, Enrico Sarcinelli), l’assessore regionale Tiziana Gibelli che, nel portare il saluto, ha ricordato una stagione vissuta sulla propria pelle: «La politica deve riappropriarsi non del proprio ruolo, ma della dignità del proprio ruolo. Da allora – ha ricordato – la politica ha fatto passi indietro. Se non avremo la capacità di riappropriarci della dignità della politica faremo un pessimo servizio al Paese». Il sindaco Alessandro Ciriani ha ammesso di essere stato tra coloro che invocarono «dieci, cento, mille Mani pulite», ma con il tempo ha riconosciuto «danni immani di una magistratura politicizzata» e ha sottolineato il ruolo di educazione civica del libro di Benedetto.
Per il senatore Luca Ciriani (Fdi) Mani pulite ha prodotto «l’antipolitica, il rigetto della politica, ma non un rinnovamento della classe dirigente». Nel confronto tra Benedetto e il presidente del tribunale, Lanfranco Tenaglia, due idee diverse, ma non opposte. L’autore è convinto che vada ripristinato l’articolo 68 della Costituzione in forma originale perché «non vanno tutelati i parlamentari bensì il Parlamento». Per Tenaglia «la Costituzione anche dopo il ’93 ha mantenuto meccanismi di tutela forte nei confronti dei Parlamentari» e il tema di oggi è semmai come riformare il Csm con una precauzione: «Dalle anticipazioni giornalistiche, il rischio che vedo è creare effetti bipolari, una magistratura progressista e una conservatrice». Retroscena sul clima di allora li ha svelati Agrusti, aggiungendo: «Abolimmo l’articolo 68 perché eravamo circondati, i magistrati in Tv parlavano direttamente al popolo. Il clima non era rivoluzionario, era eversivo».