Alzate di spalle, lievi sarcasmi e una valanga di insulti fomentata sui social da alcuni blogger dei videogiochi. Quando, nel giugno del 2021, presentammo la relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva che promossi in commissione Istruzione del Senato sull’impatto del web sul benessere psicofisico dei più giovani, le reazioni furono perlopiù critiche. Sulla base di un ampio ciclo di audizioni di psicologi, psichiatri, neurologi, pedagogisti e via elencando, la Commissione sostenne senza riserve e all’unanimità la pericolosità dell’abuso di social e videogiochi per i bambini e per gli adolescenti. Da quel lavoro trassi un libro,”CocaWeb, una generazione da salvare”; presentai anche un disegno di legge per vietare l’uso degli smartphone ai minori di 14 anni. Fummo, allora, accusati di antimodernismo: i soliti politici scollegati dalla realtà, propensi a lanciare allarmi infondati pur di attirare l’attenzione.
Il clima, in Italia e nel mondo, da allora è molto cambiato. Non passa giorno senza che un qualche centro di ricerca nazionale o internazionale, un giornale o un esperto non lancino analoghi allarmi. L’ultimo, nei giorni scorsi, è stato promosso dal pedagogista Daniele Novara e dallo psicoterapeuta Alberto Pellai: una raccolta di firme per chiedere, ma guarda un po’, la messa fuori legge degli smartphone per i minori di 14 anni e il divieto di iscrizione ai social per i minori di 16. Divieto che, peraltro, è contemplato in una direttiva europea che l’Italia ha recepito al ribasso, fissando la soglia non ai 16, ma ai 13 anni. Una norma che, essendo i due terzi dei minori di 13 anni iscritti ai social, con tutta evidenza nessuno sta facendo rispettare.
Che lo spirito del tempo rispetto alle “magnifiche sorti e progressive” del digitale stia cambiando, lo dimostra il dibattito pubblico in corso nelle principali democrazie occidentali.
I liberali svedesi stanno conducendo un’importante campagna dal titolo “Dallo schermo al libro“ che, in coerenza con la decisione del ministro dell’Istruzione Lotta Edholm di eliminare smartphone e iPad dalle scuole primarie per reintrodurre la carta e la penna, fa del ritorno all’antico il veicolo per la libertà dell’individuo. Così come disposto dal nostro ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, il primo ministro norvegese, Jonas Garr Store, ha voluto intestarsi un provvedimento che vieta l’ingresso degli smartphone nelle scuole di ogni ordine e grado. Analoga misure è stata introdotta in via sperimentale in quasi 200 scuole francesi, con l’intenzione di renderla definitiva e generalizzata dal 1 gennaio 2025. In Canada, il Québec e la Columbia Britannica hanno imposto un identico divieto da ormai più di un anno. Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, laburista, ha annunciato la prossima introduzione di un divieto di utilizzo degli smartphone per i più giovani. Unico dubbio, se fissare la soglia ai 14 o ai 16 anni. Un simile dibattito è in corso nel parlamento francese. Nove stati americani hanno ritirato i dispositivi digitali dalle scuole, introducendo, cosa che nella cultura statunitense è quasi rivoluzionaria, la scrittura a mano in corsivo…
L’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe inutile.
Sta semplicemente accadendo che la politica, con il consueto ritardo che la caratterizza, si sta allineando a quello che la comunità scientifica e le principali autorità sanitarie internazionali vanno sostenendo da ormai diversi anni: l’esposizione ai social, l’abuso di tecnologia digitale e la perdita della manualità sono le principali cause della crescita esponenziale del malessere giovanile (suicidi, autolesionismo, ansia, depressione, disturbi alimentari…), oltre che della non meno preoccupante perdita di facoltà intellettuali essenziali (capacità di attenzione, memoria, spirito critico, l’empatia…). Discuterne, per cercare di governare il fenomeno e arginarne le derive, non significa essere reazionari: significa essere responsabili.
Giova constatare che tale discussione sia stata avviata anche in Italia. Lo testimoniano i tanti appelli che si levano dalla società civile e della comunità scientifica cui corrispondono iniziative parlamentari degne di rilievo. Va in questa direzione la prossima, annunciata costituzione di un intergruppo parlamentare in difesa, appunto, della scrittura a mano in corsivo e della lettura su carta nel sistema scolastico e, più in generale, nella pratica quotidiana dei giovani e di noi adulti, troppo spesso calati inconsapevolmente nel ruolo di cattivi maestri.