Il disegno di legge presentato dal governo, se attuato, rappresenta una svolta. Ma i partiti vogliono depotenziare la norma. Chi vede minacciata la propria rendita di posizione fa di tutto per difendere il privilegio
Il disegno di legge sulla concorrenza recentemente presentato dal governo Draghi non è perfetto ma contiene una serie di spunti importanti che se attuati appieno potrebbero rappresentare una svolta. E infatti i partiti politici, sforniti di cultura economica, aggrappati a posizioni di potere e ostaggio delle pressioni delle lobby, affilano le armi per depotenziare la norma.
In Commissione Industria al Senato sono già stati depositati più di mille emendamenti con lo scopo di stralciare dalla liberalizzazione settori come il trasporto, (proteggendo, tra l’altro, i soliti taxi) o di estromettere l’Autorità Antitrust dal suo ruolo di censore delle pratiche degli enti locali che non fanno affidamento al mercato o di esimere il commercio ambulante dalle prescrizioni liberalizzatrici derivanti della direttiva europea.
Questo atteggiamento della politica viene da lontano e lo possiamo ripercorrere nel libro di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro, l’uno giurista e l’altro economista, entrambi con esperienze di coinvolgimento diretto nei processi decisori pubblici, il cui appropriato titolo è Molte riforme per nulla.
Fin dai tempi dell’Assemblea Costituente, la posizione moderna di Luigi Einaudi che avrebbe voluto introdurre nella nostra Carta fondamentale il principio che “la legge non è strumento di formazione di monopoli economici” risultò sconfitta dalle prevalenti visioni di comunisti, socialisti e democristiani.
Nel corso degli anni successivi poi, non solo si assistette a un espandersi della mano pubblica all’interno dell’economia, ma si vennero a creare numerosi monopoli (si pensi all’energia elettrica o alla televisione o ai trasporti) con la giustificazione dell’interesse pubblico e del “monopolio naturale”.
Il corso degli eventi sembrò mutare negli anni ’90 quando venne approvata una dignitosa legge Antitrust ricalcata sulla normativa europea, cominciarono a essere recepite le direttive Ue sulle liberalizzazioni in vari settori (telefonia, energia, gas, poste, trasporti) e, prima nel 1998 e poi nel 2007, l’allora ministro dell’Industria Bersani fece approvare quelle che passarono alla cronaca politica come le “lenzuolate”.
Alcune erano in realtà provvedimenti pro-consumatori che, fanno notare Saravalle e Stagnaro, avevano conseguenze non pro-competitive. Altre misure, però, relative al commercio e alle professioni ebbero un impatto favorevole alla concorrenza. Seguirono i tentativi del governo Monti con il Decreto Cresci Italia e del governo Renzi, con la rediviva Legge annuale (di nome ma non di fatto) sulla concorrenza, approvata nel 2017.
Ognuna di queste disposizioni conteneva miglioramenti incrementali (ad esempio, aumento delle farmacie, creazione dell’Autorità indipendente dei Trasporti, abolizione della riserva di legge per le Poste sulla consegna di atti giudiziari) ma nessuna riuscì nel riassetto complessivo dell’economia italiana, in particolar modo nel settore dei servizi pubblici.
Anzi, in Parlamento sono passate controriforme (ad esempio “sull’equo compenso” per gli avvocati) e lo sciagurato referendum del 2011, basato sulla fake news della “privatizzazione di sorella acqua”, in realtà ha tolto l’obbligo delle gare consegnando tutto il settore delle utility all’immobilismo.
Perché la concorrenza è un tema secondo i due autori così “radioattivo”? Ovviamente esiste un problema culturale nel Paese, ma soprattutto gli interessi concreti di chi vede minacciata la propria rendita di posizione (si pensi agli exempla mirabilia di notai, farmacisti e taxisti o ai politici locali o certi semi-monopoli) ed è disposto a spendere qualsiasi cifra o capitale politico o pressione (si pensi ai consueti scioperi dei taxi) per difendere il privilegio.
I beneficiari sono tanti, dispersi, non organizzati e non si mobilitano per un ipotetico futuro guadagno, per di più di non grande entità. Dovrebbe sopperire un governo forte e lungimirante, ma in Italia entrambe le caratteristiche difettano in gran parte della classe politica.
Ecco perché, pur angosciata dalla criminale invasione dell’Ucraina e ancora preoccupata del Covid, l’opinione pubblica informata deve far sentire tutto il suo appoggio alla proposta di riforma del governo Draghi: se va in porto sarà uno dei suoi lasciti più duraturi per il Paese.