Il debito pubblico scende. Così si legge nella variazione di bilancio, scritta dal governo. Il debito pubblico cresce e tocca nuovi record, avverte la Banca d’Italia.
Prima che i lanciatori di dati si scatenino, cercando di dimostrare che l’uno o l’altro conferma le tesi della loro propaganda, proviamo a capire non tanto cosa dice il sali e scendi, quanto quel che lo produce.
Il debito pubblico, a giugno scorso, toccava la vetta, fin lì mai raggiunta, di 2.281 miliardi. Dato disponibile da agosto e diffuso dalla Banca d’Italia. Essendo passato poco più di un mese è escluso che siano intervenute correzioni significative.
Difatti nessuno lo sostiene, perché la discesa messa in evidenza dal governo non è del debito, ma del suo rapporto con il prodotto interno lordo: dal 131.6 al 129.9%. Un po’ poco per parlare di “abbattimento”, come pure è stato fatto, ma pur sempre un fatto positivo.
Come fa il debito a crescere e, contemporaneamente, scendere nel rapporto con il pil?
È possibile perché quest’ultimo è cresciuto più del previsto e a un ritmo leggermente superiore al debito. Non un miracolo, quindi, ma mera contabilità.
Ripeto: è un fatto positivo. Possiamo, allora, tirare un sospiro di sollevo? Neanche per idea. Non solo perché il debito è comunque cresciuto, ma perché il passo del pil è stato appena più veloce di quello della spesa in una fase in cui quest’ultima è abbattuta (ora ci vuole) sul lato del costo del debito stesso.
Grazie alla Banca centrale europea. E se si vanno a guardare i conti si scopre che la crescita della spesa pubblica (perché è cresciuta), che genera il deficit, a sua volta generatore di debito, è stata di poco inferiore al risparmio sugli interessi.
Detto in modo diverso: se la spesa pubblica non fosse cresciuta e se il risparmio sugli interessi fosse stato tutto portato a taglio delle uscite, oggi potremmo contabilizzare un più consistente ridimensionamento del debito sul pil e una minore crescita, o, addirittura, decrescita del debito.
Detta in modo ancora più prosaico: il risparmio non è merito nostro (ma della Bce) e la maggiore crescita è data prevalentemente dalle esportazioni (mai andate così bene) e dal turismo, ergo, ancora una volta, non da scelte fatte entro i confini italiani.
Delle propagande m’interessa poco e niente. Le trovo patetiche. Le une e le altre.
Da quei numeri non si trae altro che la conferma di un problema serissimo: siamo sulla vetta più alta, fino a ieri inviolata, s’approssima l’inverno e non sappiamo come scendere, l’inventario dei viveri, però, segnala che le scorte di forza ancora ci sono.
C’è poco da festeggiare, semmai darsi da fare. [spacer height=”20px”]
Davide Giacalone, 23 settembre 2017