Quello del Colle è un potere elastico. Più la politica è forte, meno il Quirinale deve tendersi. E viceversa. Con gli elastici si deve fare attenzione, perché se li si allunga ad altezza d’occhio può capitare che sfuggano e accechino. Le premesse della corsa al Colle non sono confortanti.
Il 2020 lo abbiamo chiuso con un debito pubblico pari al 155.6% del prodotto interno lordo. Mostruoso. Le previsioni per il 2021 erano, ad aprile scorso, di arrivare al 159.8. Le cose vanno meglio: posto che il valore assoluto del debito continua (e continuerà) a crescere, potremmo chiudere l’anno con una diminuzione del peso percentuale, al 153.5. Il che lo si deve alla crescita del pil. Un indubbio successo che, però, è solo un primo passo, perché, anno dopo anno, si dovrà continuare su quella strada, senza che s’imbocchi il vicolo delle politiche restrittive, ma puntando a un ritmo sostenuto nel crescere della ricchezza. Cosa c’entra con il Colle? Molto.
Gli indicatori positivi possono far credere agli stolti che la missione sia compiuta. Ringraziamo Draghi e torniamo al sollazzevole andazzo spendarolo. Ma la missione è appena iniziata. Il successo non si misura in settimane o mesi, ma in anni. A questo si aggiunga quel che il presidente del Consiglio ha detto e che è stato bellamente ignorato: le condizioni finanziarie potrebbero cambiare. Il debito potrebbe riprendere a costare di più ed essere meno assistito dalla Banca centrale europea. Altro che “missione compiuta”. Ed è qui che arriva il Colle.
Si sostiene che le forze politiche, in vista delle elezioni (2023) riprenderanno a essere litigiose (avevano smesso?), rendendo difficile, se non impossibile, il lavoro del governo. E siccome dobbiamo tutto a Mario Draghi, meglio metterlo subito in sicurezza, eleggerlo presidente della Repubblica, e andare alle elezioni. Ora, a parte l’ipotesi che un neo eletto dalla sua stessa maggioranza la sciolga, a parte la sola evidenza, ovvero che quel mondo politico ha capito che al 2023 non ci arriva vivo, ciò che colpisce, in quel ragionare, è la politica che si autodescrive come gregge isterico, sicché salva al Quirinale chi continuerà a transumarla verso verdi pascoli. Questo, però, tenderebbe l’elastico fino a torcere gli equilibri costituzionali.
Il punto ineludibile è: come continua il lavoro appena iniziato? Quel che serve è l’opposto di un “liberi tutti”, semmai un “vincoliamoci”. Consideriamo l’indispensabilità della sponda europea, le opportunità irripetibili e vincoliamoci a non deflettere da quel che si è abbozzato. La collocazione di ciascuno discenda da quel vincolo. L’alternativa al vincolarsi, per i politici, non è divincolarsi, ma sciogliersi nel nulla rissoso. La marcia al Colle cambi musica, provi a porsi il problema di far decollare il Paese, non di decollare qualcuno.