Non è un annuncio di recessione. La crescita annua resta positiva e positivo è il risultato del secondo trimestre 2023 rispetto al secondo trimestre 2022. Ma l’Istat comunica che quel risultato, rispetto al primo trimestre dell’anno in corso, fa registrare un non piacevole -0,3%. È una stima, ma è anche un fatto. E con i fatti si devono fare i conti.
Confindustria da settimane lancia allarmi sulla produzione industriale. Nel conto si deve mettere anche il fatto che il comparto agricolo e gli allevamenti della Romagna sono finiti sott’acqua. Per rimediare ci vorrà del tempo. Il nostro settore industriale è fortemente integrato con quello tedesco, che non è messo bene (per questo avvertivamo che se quel governo intende spendere soldi del suo contribuente per aiutarlo, anziché «Fermati» gli si deve dire «Sbrigati e concorda in sede Ue»). Il lato servizi continua ad andare bene, ma senza maggiore concorrenza produce più inflazione. Il turismo va molto bene, ma non ha la forza d’invertire il rinculo che ora si registra.
A questo si aggiunga che i conti pubblici italiani sono stati calibrati su una crescita a +0,9% (questa la previsione contenuta nel Documento di economia e finanza), che è ancora alla portata, semmai passibile di ritocco per uno zerovirgola, ove dovesse verificarsi una mancata crescita nella seconda metà dell’anno. Quindi: niente panico. Ma anche: niente sorrisi ebeti.
Ci eravamo premurati di osservare che non è stato confortante ascoltare, dopo le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, commenti fuori luogo e festeggiamenti perché «cresciamo più di Francia e Germania». Da tre anni cresciamo bene e più di altri – senza recuperare il ritardo prima accumulato – ma siamo in decelerazione. Sarebbe ottuso accusare il governo dell’odierno -0,3%, ma lo era anche appizzare la crescita sul suo petto rigonfio. Non è una questione da politicanti in propaganda ininterrotta, ma assai pratica e concreta: non è stato fatto nulla, né in un senso né nell’altro.
Qui si crede che sia un merito non avere combinato sfracelli e non essere usciti dal seminato (Ero dipinta come un mostro e non è successo nulla, il “mostro” è propaganda, il “nulla” è realtà). Il governo Meloni ha il merito di non avere toccato i binari tracciati dal governo Draghi, ma su quelli viaggiano i nostri conti pubblici. Talora arrancando in salita. Mentre per quel che riguarda la crescita futura, da costruire, la partita decisiva non è soltanto farsi dare (sia pure in ritardo) le rate dei fondi europei legati al Pnrr: la partita decisiva è attuare quel piano e trasformare i quattrini in investimenti produttivi. Come, del resto, onorare il piano anche sul lato delle riforme e, al momento, è tutto fermo. Ricordiamoci che se abbiamo davanti soltanto un -0,3% è anche perché il turismo tira, ma noi accogliamo i turisti stranieri senza taxi e spediamo quelli italiani su spiagge regalate ai concessionari, nel frattempo avviando un ridicolissimo censimento di beni pubblici che dovrebbero essere sempre e costantemente censiti. Tutti segni che siamo fermi.
Inoltre: le scelte della Banca centrale europea danno i loro frutti e l’inflazione scende, attestandosi ora a un 6%. Che è sempre alto, ma in discesa. Però l’inflazione sul carrello della spesa resta sopra il 10% e serve a nulla parlare di controlli e Mister prezzi. La più efficace arma contro la speculazione è la concorrenza, il che presuppone anche cancellazione dell’evasione fiscale. Ricordate il debutto del governo contro il Pos e per un maggiore uso del contante? Pessimo modo di cominciare.
Le forze politiche continuino pure il loro inutile sventolio di bandiere senza contenuto. Il governo si glori di quel che non ha fatto e le opposizioni lo accusino per colpe che non ci sono. Ma poi c’è la realtà e quella di ieri non è una sirena che annuncia disastri, ma un allarme che dovrebbe indurre a non perdere tempo. Anche perché quello dilapidato nel balletto del Pnrr lo contabilizzeremo fra qualche mese.
La Ragione