La Commissione europea ha presentato una bozza di riforma della governance economica delle istituzioni comunitarie. Il Parlamento europeo ha approvato la riforma dei Trattati, compreso il famigerato Patto di stabilità. Il consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo hanno siglato un nuovo Patto migrazioni e asilo. Mario Draghi ha avuto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’incarico di mettere a punto un progetto sulla competitività dell’industria comunitaria. La guerra in Ucraina e il possibile disimpegno americano dalla Nato rendono quantomai urgente il tema della Difesa comune europea. Il Green Deal mostra luci e ombre e richiede con tutta evidenza una revisione strategica anche alla luce delle sue implicite conseguenze geopolitiche…
Sono tutti temi recenti. Temi che incombono sul futuro dell’Unione e che toccano direttamente l’interesse nazionale degli Stati membri. Temi che, se la politica fosse una cosa seria, verrebbero sviscerati dai partiti nella campagna elettorale per le elezioni europee di giugno. E invece… Invece, di tutto si parla tranne che di questi argomenti.
Si parla molto di chi, non si parla affatto di cosa. Si attende l’annuncio della candidatura di Giorgia Meloni al pari di quello di Elly Schlein in ossequio ad un antico malcostume che vede i leader politici nazionali concorrere ad incarichi che non andranno a ricoprire. Mentre, ed anche questo è un antico malcostume tipicamente italiano, chi verrà eletto a Bruxelles impegnerà le proprie migliori energie non nell’attuare politiche europee all’europarlamento, ma nel tentativo di rientrare al più presto in patria con la casacca del parlamentare nazionale. La logica è quella domestica. Una logica politicistica, per cui l’unica cosa che conta è la conta. La conta in sé: la conta dei voti che i singoli partiti otterranno e i conseguenti rapporti di forza nelle e tra le coalizioni. I voti intesi come fine ultimo delle elezioni, non come mezzo per realizzare delle politiche precise.
Poi, certo, entrando nel vivo la campagna elettorale si occuperà anche di Europa. Ma c’è da credere che la maggior parte dei leader e dei singoli candidati lo faranno alimentando il latente euroscetticismo dell’elettorato. Soprattutto quello di centrodestra. Si farà così un danno, un danno di immagine, all’Europa e si impedirà all’elettore di esprimere il proprio voto sulla base di un ponderato esame delle singole posizioni relative ai temi imprescindibili oggi al vaglio delle istituzioni europee. Come se non ci riguardassero. Come se l’Europa non fossimo noi.
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