Non è facile la vita del liberale in questi giorni. Soprattutto di chi ha una concezione realistica e storicistica del liberalismo e non ama gli appelli alla resistenza che ci vorrebbero tutti in trincea su un Aventino. A chi mi chiede cosa penso del governo legastellato, celiando, rispondo che è brutto assai, ma che i precedenti governi erano altrettanto poco belli (oltre ad essere stati in qualche modo la ‘causa’ dell’avvento dei barbari ‘novatori’). Non sogno proprio un ritorno al passato. Ma, allora, che fare? Ho deciso di dare, in questa sede, e di sottoporre ai lettori di questo blog, una risposta articolata per punti (quindi schematica e anche con un che di apodittico che generalmente non è nel mio stile). Eccola:
1. Gli elettori hanno mostrato, nell’ultima tornata elettorale (ma non solo), una volontà di cambiamento radicale, che si inserisce nella generale critica, giustificata, delle élite (rappresentate dalle vecchie forze politiche e dai cosiddetti ‘tecnici’) al potere che è propria, in questo momento, di quasi tutto il mondo occidentale.
2. Il governo nasce da una alleanza, per forza di cose ‘contrattuale’, fra due forze che, oltre alla volontà di rottura con le vecchie classi dirigenti, hanno pochi altri elementi in comune.
3. Da qui una contraddizione o inconcludenza manifesta nelle scelte di governo. Aggravata dallo stato di vischiosità della nostra amministrazione e dalla complessità burocratica della macchina statale.
4. Un’alternativa politica a questo governo, d’altronde, non esisteva all’indomani delle urne, cioè delle elezioni del 4 marzo scorso, né era minimamente immaginabile che uscisse da una tornata elettorale reiterata. Un’alternativa tecnica o presidenziale, seppur permessa dalla Costituzione, sarebbe suonata come uno schiaffo agli elettori (oltre ad essere stata bocciata dai mercati e, a quanto sembra, da interventi dell’ambasciata americana nei giorni in cui si è consumato il tentativo di Cottarelli).
5. Essendo la politica, oltre che scelta fra alternativa, arte del possibile, bisogna assolutamente accettare questo governo, eletto democraticamente, non delegittimarlo moralmente.
6. Le forze di opposizione, se fossero serie, dovrebbero costruire un’alternativa nel tempo e non limitarsi ad inveire o a contare su una improbabile e non democratica ‘spallata’.
7. Dal canto loro, le forze governative, a cui va dato atto di aver superato le differenze e dato vita comunque al governo, devono cercare da una parte di non tradire gli elettori che le hanno votate e dall’altra di non compiere passi irresponsabili che, mettendo in crisi l’Italia, li tradirebbero comunque.
8. Le forze di garanzia, a cominciare dal Presidente della Repubblica, dovrebbero dare veramente l’impressione di esser super partes: giustamente intervenendo sui principi, ma senza dare l’impressione di farlo in una sola direzione.
9. Quanto ai liberali, e in genere a chi si pone in un’ottica metapolitica, essi non possono non constatare che il tasso di liberalismo, di questo come dei precedenti governi, è basso e quasi inesistente, che in generale le idee liberali non godono di particolare popolarità fra gli italiani. Essi devono perciò affrontare con realismo la situazione. I liberali e le persone di buon senso devono cioè, da una parte, ‘seminare’ affinché certe idee diventino più popolari e siano viste empiricamente (cioè senza ideologismi) come una possibile risposta a molte delle sfide che il tempo pone al nostro Paese; dall’altra, devono non porsi pregiudizialmente contro il governo (così come contro l’opposizione) ma giudicarne ogni idea o azione nella sua singolarità individuando, con principio di realtà, quegli spazi di azione per le politiche che ritengono opportune. E, soprattutto, distinguendo fra le due forze che hanno dato vita al governo, puntando sull’evoluzione liberale di quella su cui sembra di poter fare più affidamento e che comunque è più vicina (anche per composizione del corpo elettorale) alle idee liberali.
10. Bisogna, in definitiva, confidare nella creazione (sicuramente non a breve) di nuovi equilibri e nuovi rapporti di potere che diano una governabilità all’Italia e mettano il Paese in grado di cominciare da affrontare, col consenso degli italiani, le scelte più difficili e i problemi più strutturali che lo attanagliano (in primo luogo, a mio avviso, il ripristino del senso della legalità o della buona amministrazione, cioè il senso dello Stato e del bene pubblico).
Corrado Ocone, www.paradoxaforum.com 2 ottobre 2018