Sono da pochi giorni entrati in vigore il Digital Service Act (DSA), regolamento sui servizi digitali e il Digital Market Act (DMA), regolamento sui mercati digitali, due ulteriori step raggiunti nella “gestione” normativa dell’innovazione tecnologica e atti da tempo al centro dei lavori parlamentari, anche della 4ª Commissione che presiedo. L’Unione europea è da anni in prima linea nel definire il framework legislativo in materia di digitale nel nome dei principi del suo statuto valoriale. Grazie al DSA, gli utenti minorenni di Instagram o TikTok oggi non possono più vedere annunci pubblicitari basati sui loro dati personali. O ancora, con l’applicazione del DMA, Microsoft non ha più il motore di ricerca Bing predefinito e Apple deve dare agli utenti di iPhone e iPad l’accesso agli app store e ai sistemi di pagamento della concorrenza. Tali esempi sono esplicativi dell’effetto dirompente della nuova regolamentazione europea: le aziende hanno dovuto adeguarsi e modificare la loro offerta tecnologica, e non è impensabile che l’impatto delle leggi europee possa anche cambiare in futuro i loro modelli di business.
Riequilibrare la concorrenza nei mercati digitali è l’ambizioso obiettivo dell’Ue con il DMA. Sei le Big Tech coinvolte e ventidue le piattaforme individuate dalla Commissione europea tra cui social network, sistemi operativi, servizi di messaggistica. Nonostante il «New York Times» abbia tenuto a specificare che Amazon, Meta, Microsoft e altre hanno declinato le richieste di intervista, è improbabile che vi sarà un braccio di ferro con l’Unione europea. Un caso simbolico, divenuto esempio “comportamentale” per tutte le Big Tech, è la maximulta che l’Antitrust europea ha inflitto ad Apple – 1,84 miliardi di euro – per aver discriminato Spotify e altre app streaming di musica, impedendo ai clienti una corretta trasparenza d’informazione.
È chiaro che per decenni i colossi digitali abbiano agito in un terreno con pochi limiti, come è altrettanto evidente che vi sia una necessità di definire e delineare i raggi d’azione dei soggetti che operano nel digitale. Il DMA si applica a piattaforme con numeri imponenti: 45 milioni di utenti mensili, capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro, fatturato annuo sopra i 7,5 miliardi. Sarebbe impensabile lasciare senza alcun framework legislativo un mercato di tale portata che, per di più, può generare pesantissime conseguenze a livello sociale, non soltanto economico. Fuori dall’Ue siamo un esempio: si sta di fatto generando un’ondata di nuovi regolamenti in tutto il mondo. E grazie alle regolamentazioni europee il digitale è un mercato più maturo e sempre più in linea con gli altri settori dell’economia.
Il grande merito europeo è certamente quello di porre al centro l’uomo. Da sempre, dalla normativa sulla tutela dei dati personali (GDPR) del 2016, passando per le disposizioni in termini di trasparenza dei dati, sino alla legislazione dell’intelligenza artificiale e del digitale, l’Ue ha posto al centro l’individuo e i suoi diritti fondamentali in quanto essere umano e cittadino.
Anche l’accordo politico sull’AI Act ha come fine l’adozione di una intelligenza artificiale affidabile, che garantisca la protezione della salute e della sicurezza, la tutela dello Stato di Diritto e dei diritti umani. Una intelligenza artificiale al servizio delle nostre democrazie e dei suoi valori, non certo generatrice di fake news e distorsioni. Inoltre, la classificazione di quattro livelli di rischio dei sistemi di IA è una assoluta novità nel panorama legislativo globale. Per i sistemi ritenuti inaccettabili o ad alto rischio – che quindi possono manipolare il nostro comportamento, minacciare la nostra sicurezza, minare il processo democratico – è prevista proprio una valutazione d’impatto sui diritti fondamentali.
La lungimiranza dell’Ue ha permesso di anticipare e non rincorrere il progresso inarrestabile provocato dall’avvento del digitale e dell’intelligenza artificiale, cambiamenti destinati a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali e relazionali. In un mondo in cui gli algoritmi svolgono un ruolo sempre più rilevante, serve una tecnologia responsabile e trasparente. Che l’uomo sia realmente, come sosteneva Protagora, misura di tutte le cose.