Il diritto non è l’album di quelli che ciascuno o i più considerano diritti. Il diritto non procede, nel tempo, secondo un tracciato lineare, denominato “progresso”, talché ogni diverso tragitto possa essere considerato “regresso”. L’annuncio di una possibile sentenza della Corte Suprema statunitense, in tema di aborto, ha innescato reazioni che possono essere condivise o meno, si può pensarla in un modo o nell’altro, ma mettono in evidenza una certa confusione culturale.
Da quando si è imparato a non far discendere dalla divinità il potere e la legittimità, si è dovuto anche imparare a stabilire i principi inderogabili della convivenza. Un gran passo in avanti. Ma, a dimostrazione che la storia non è un binario fissato e con stazioni in successione stabilita, una volta archiviata (non ovunque, le teocrazie esistono ancora) l’idea che uno sa quel che vuole dio e tutti gli altri fanno quello che vuole lui (salvo accopparlo), s’è traslocata l’etica del diritto dalle scritture più o meno sacre allo Stato. Gran bella cosa, peccato che sul tragitto il treno è passato da robaccia come il comunismo e il nazismo. Le abbiamo alle spalle (si spera).
Quei principi fondamentali li abbiamo messi nelle costituzioni, salvo poi farli vivere nella concretezza di leggi e scelte, accettando che taluno ne contesti la coerenza con la Costituzione. Siccome una cosa simile non la si può decidere a maggioranza, altrimenti il più forte distrugge il diritto, sono nate le Corti. Quella statunitense ha un lunga e nobile tradizione.
Occhio: non sono tribunali ed è ovvio che abbiano impronta politica, visto che sono in gran parte o totalmente scelte dalla politica, ma sono autonome, intoccabili. Se una loro decisione fosse considerata insopportabile allora si deve tornare al metodo democratico e con quello cambiare quella parte della Costituzione. Politico, però, non è sinonimo di partitico. Per intendersi: Trump voleva che la Corte riconoscesse l’illegittimità delle elezioni e neanche se lo sono filato.
Una sentenza stabilì che abortire sia un diritto. Lo è anche da noi. Ma va regolato. Essendo materia statale (gli Usa sono federali), vi sono leggi più permissive e leggi più restrittive. Se si togliesse il paletto del diritto federale non per questo sarebbe illegittimo abortire, ma una legge statale potrebbe diventare ancora più restrittiva (un margine di ammissibilità esiste anche nelle legislazioni più rigide). Tema da battaglia politica.
Ma, si dice: è un ritorno al medio evo. Non so cosa quella stagione della storia abbia fatto a tanti, che non la conoscono, ma suppongo intendano: si torna all’inciviltà che nega i diritti. Solitamente l’affermazione è accompagnata da una data: ancora nel 2022 si discute di … questo o quello. Perché no? Sono favorevole alla regolazione dell’aborto, ma non credo che il mondo ideale sia quello in cui tutti possano abortire a piacimento, semmai quello in cui non abortisce nessuno, usando gli anticoncezionali.
Ma siccome non esiste il mondo ideale, la faccenda va regolata. Altri, però, la possono pensare diversamente, considerando incivile abortire e un progresso proibirlo. E allora? E allora ci si conta. Una maggioranza non deve mai potermi imporre come pensarla o proibirmi di dirlo (e su questo le Costituzioni democratiche sono chiarissime), ma il rispetto delle minoranze non comporta che la legge è civile solo se c’è scritto quello che voglio io.
In ogni caso: pare che l’ampia maggioranza sia favorevole all’aborto. Bene, le strade del diritto le consentono di mantenerlo, quale che sia la sentenza. Su quelle strade, però, non si vive di rendita e addormentandosi, occorre costruire ogni giorno il consenso.