L’intervista a Dominick Salvatore, Presidente del Dipartimento economia della Fondazione Einaudi. Tra i temi, Trump, Obama, fisco e protezionismo
Dominick Salvatore è uno dei più grandi esperti di economia internazionale al mondo. Il suo curriculum vanta collaborazioni con le più importanti istituzioni finanziarie e monetarie, dalla Banca Mondiale (WB) al Fondo Monetario Internazionale (IMF).
Il suo libro di economia internazionale è venduto (e, a detta dello stesso autore, spesso copiato) in tutto il mondo. Formiche.net lo ha incontrato per analizzare le politiche economiche dei primi mesi alla Casa Bianca di Donald Trump, una sua stretta conoscenza.
Professor Salvatore, come giudica la riforma fiscale di Trump? Quali saranno gli effetti sul debito pubblico?
Ci sono due aspetti della riforma del sistema fiscale di Trump. Il primo è quello della personal income tax, la tassa sui redditi delle persone e delle famiglie, e il secondo è quello della corporate tax. Oggi ci sono sette diverse classificazioni di reddito, l’aliquota marginale massima è del 39,6%. Lui vuole ridurre questi sette scaglioni a tre, e ridurre l’aliquota massima al 35%. Ancora più importante è la riduzione delle imposte sui profitti esteri delle imprese americane, dall’odierna del 35%, la più alta al mondo, al 15%.
Quali sono i vantaggi di una riduzione così drastica?
Ci sono due ragioni. Incentivare gli investimenti, ma anche per far riportare a casa i profitti parcheggiati fuori dagli Stati Uniti, molti in Irlanda, dove l’aliquota di questi profitti è del 12,5%. Tutte le nazioni, inclusa la Cina, sono preoccupatissime di una mossa simile. Ci sono fuori dagli Stati Uniti 2,6 triliardi di profitti che non sono tornati. Solo la Microsoft ha più di 100 miliardi di dollari di profitti. Se pensiamo che la Grecia per evitare il fallimento ha bisogno di 80 miliardi…
Le nuove spese e gli sgravi fiscali annunciati quanto peseranno sul deficit?
Trump vuole spendere circa 1000 miliardi di dollari sugli investimenti per le infrastrutture sociali e fisiche e militari. Lui conta sul fatto che una diminuzione delle imposte faccia tornare la crescita e di conseguenza le entrate. Ma mai in passato la riduzione delle tasse, come con Reagan, ha fatto tornare la crescita tanto da coprire l’incremento delle spese, né ha mai comportato l’azzeramento dell’effetto sul debito pubblico.
E Trump come pensa di bilanciare l’effetto sul debito?
Lui vorrebbe imporre un’imposta sui consumi e non più sulla produzione, il che significa che le esportazioni americane di aziende statunitensi non vengono tassate, perché i prodotti sono consumati all’estero, ma le importazioni verranno tassate. Molti paesi lo vedono come protezionismo, ma non è altro che un’IVA al rovescio, quindi è legittima. Tutto questo dovrebbe far aumentare le entrate di 1000 miliardi di dollari, quindi tecnicamente non ci sarebbe alcun effetto sul debito pubblico.
E cosa pensa delle proteste degli altri Paesi, come la Cina?
Gli altri Paesi non dovrebbero gridare al protezionismo, questo dovrà essere valutato a livello internazionale. D’altronde se gli Stati uniti riuscissero a dimostrare davanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che i cinesi danno sussidi dal 20 al 40% alle loro imprese, perché le grandi imprese cinesi sono parastatali, allora il Wto permetterebbe agli Stati Uniti di difendersi imponendo il countervailing duty. La Cina non potrà fare alcuna ritorsione perché questi dazi sarebbero imposti per difendersi dal commercio sleale. Per questo vuole essere considerata un’economia di mercato: a quel punto sarebbe difficile dimostrare questi atteggiamenti nella concorrenza.
Quanto pesa sulle riforme il problema dell’over-regulation?
L’amministrazione Obama ha introdotto 1800 pagine di nuovi regolamenti. Trump li cancellerà in gran parte, ha già iniziato a farlo. Molti di queste regolamenti andavano fatti e sono a favore delle imprese. Sappiamo che ci sono sempre disaccordi su quanto regolamentare, ma Obama è andato completamente fuori strada. Pensi solo che io devo inviare al Governo Federale le presenze dei miei studenti del dottorato. È la prima volta che mi succede in quarant’anni.
Smantellare l’Obamacare è stato un errore?
L’Obamacare era già sulla via del fallimento. I democratici sapevano benissimo che sarebbe crollato, hanno votato dalla sera al mattino senza leggere il testo della legge. Su questa riforma c’è stata un’enorme disinformazione mediatica. In Italia tutti, dal Presidente della Repubblica alla persona meno colta, credevano che 30 milioni di persone restassero senza assicurazione sanitaria. Lei si immagini: la gente sarebbe morta per le strade, sarebbe successo il finimondo.
Passiamo al lato estero della politica economica. Secondo lei Trump ha ragione a condannare il dumping cinese?
Trump sbaglia quando dice che la Cina ha svalutato la moneta, non è vero. Una volta era svalutata, ora sta deprezzando perché l’economia cinese non è quella di cinque anni fa. La crescita è diminuita, i capitali stanno uscendo fuori dal paese. La Cina ha speso un triliardo per evitare il deprezzamento dello yuan. Di per sé il deprezzamento sarebbe una risposta di mercato, ma i cinesi non vogliono irritare gli americani più di tanto e quindi intervengono.
E invece ha fatto bene ad abbandonare l’Accordo di Parigi?
L’Accordo sul clima è un accordo internazionale che sarebbe dovuto passare per il Congresso. Trump sapeva benissimo che se fosse arrivato al Congresso né i democratici né i repubblicani lo avrebbero votato. Trump è contro l’accordo perché è stato firmato illegalmente. E poi diciamoci la verità: gli Stati Uniti pagherebbero centinaia di miliardi di dollari per ridurre l’inquinamento, mentre la Cina inizierebbe a farlo solo fra 20 anni.
E quindi?
E quindi se è vero che gli Stati Uniti si sono sviluppati inquinando, è anche vero che sono cresciuti rapidamente, importando molto di più dalle altre nazioni, specialmente la Cina. Dunque questo sviluppo statunitense è andato a beneficio delle altre nazioni. Che si debba fare qualcosa per l’ambiente è cruciale, Trump dice semplicemente che va fatto nel modo più equilibrato.
Mi sembra di notare in lei una simpatia per Trump…
Io non sono a favore né di Obama né di Trump, io sono a favore del mercato. Io voto così: nella misura in cui Trump è più vicino al mercato, io sono più vicino a lui. Berlusconi anni fa fece dei sondaggi per vedere se fossi disposto ad entrare nel suo governo. Io dissi di no, perché aveva molto più valore dire cose utili al mercato senza fare parte di un governo o di un partito.
Francesco Bechis