“Caro Stella, a distanza di un quarto di secolo, condivido ancora quelle mie considerazioni…”

“Caro Stella, a distanza di un quarto di secolo, condivido ancora quelle mie considerazioni…”

Doppio turno con ballottaggio per i sindaci? Non sarà perfetto, ma funziona

Una polpetta lanciata «alla muta dei cani affamati di vere riforme». Così nel luglio 1992 il liberale Giuseppe Benedetto liquidò la proposta dell’elezione diretta del sindaco voluta dai «riformatori dell’ultim’ora, conservatori da sempre», consci di «non poter frenare del tutto l’ansia di rinnovamento che c’è nel Paese».

Che il paese fosse in ebollizione è certo. A febbraio l’arresto di Mario Chiesa aveva aperto la stagione di Mani Pulite e via via che emergevano nuovi dettagli, nuovi inquisiti, nuovi arresti, montava una collera così diffusa da spingere i partiti a inventarsi qualcosa.

E lì finirono: sui primi cittadini eletti direttamente. Una proposta non originalissima (Giuseppe Tatarella ne parlava dal 1984, Claudio Martelli dal 1985) ma che sotto la spinta dei referendari di Mario Segni e dell’incalzante cronaca giudiziaria passò «a tamburo battente» il 25 marzo 1993. Il giorno dopo la notizia che gli avvisi di garanzia a Bettino Craxi, il quale aveva minacciato fuoco e fiamme «se un solo sindaco fosse eletto dal popolo», erano saliti a 11, quelli a Severino Citaristi a 21.

Pareva davvero una riforma fatta (anche) per placare gli animi. Eppure…

«L’elezione diretta del sindaco è una bella ventenne», scriveva tre anni fa Stefano Ceccanti su Huffington post. Bellissima forse no, perché di limiti nel corso del tempo se ne sono visti. Ma è indiscutibile che il bilancio è buono e il sistema elettorale che oggi torna a esser utilizzato per il ventiquattresimo anno consecutivo, ha dato prova di funzionare meglio di tante altre riforme fatte, demolite e buttate via.

Certo, la «stagione dei sindaci» che sembrò fiorire nel ‘93, quando Paolo Mieli scrisse che per la prima volta si sarebbe votato «più per gli uomini che per i partiti» e trovò in questa svolta la speranza lì cominciasse «un lungo viaggio verso la rigenerazione politica del Paese», è finita da un pezzo. Purtroppo.

Decine di sindaci sono stati inquisiti, processati, condannati. Centinaia sono stati imposti di fatto dai partiti coi più vecchi sistemi clientelari. Migliaia si sono rivelati una delusione. Diversi hanno dovuto andarsene, come Ignazio Marino a Roma o Massimo Bitonci a Padova, perché sfiduciati dalle maggioranze. Insomma: la ricetta perfetta per la buona politica non c’è.

Il nuovo sistema, però, ha consentito anche ad outsider liquidati dai partiti come «perdenti», di imporsi e vincere. Ha imposto alcuni volti nuovi di spessore. Ha permesso l’irruzione in terre dominate da mafia, camorra e ‘ndrangheta la felice irruzione di donne e uomini che mai avrebbero potuto altrimenti sfondare.

Uno per tutti, il «sindaco pescatore» di Pollica, Angelo Vassallo. Assassinato sette anni fa.

In ogni caso, scriveva il costituzionalista Tommaso E. Frosini nel 2003, i fatti dimostrano che «questo sistema ha consentito che ci fosse governabilità, stabilità ed efficienza di governo negli enti locali». Magari non sempre, questa efficienza.

Ma almeno chi amministra è costretto a metterci la faccia. Ed esporsi al giudizio dei cittadini. Mica poco, in un paese che non ce la fa, da anni, a darsi una legge elettorale condivisa.

Eppure, forse ha ragione Mario Segni: «Non facciamoci illusioni: fosse passato il proporzionale sarebbe passata alla fine anche l’abolizione del sindaco eletto direttamente…». Possibile?

Gian Antonio Stella, Il Corriere della Sera 11 giugno 2017

 

Caro Stella, le confesso che non ricordavo quelle mie considerazioni. Devo dire che, a distanza di un quarto di secolo, le condivido ancora.

Giuseppe Benedetto

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