Duemila anni di clientelismo: nulla è cambiato e nulla potrà mai cambiare

Duemila anni di clientelismo: nulla è cambiato e nulla potrà mai cambiare

Dopo il trasformismo, ecco tornare prepotentemente in scena, con esibito stupore e unanime riprovazione del ceto politico e del circo mediatico, nientemeno che il clientelismo. Pratica antica, largamente celebrata nelle commedie di Plauto 200 anni prima di Cristo e ufficialmente nata nell’antica Roma in epoca repubblicana. Chi godeva di una posizione sociale debole, gli stranieri, i liberti, i poveri o semplicemente i plebei ambiziosi, per rafforzarsi era solito “legarsi” con un “patto di fedeltà” ad un patronus divenendone così “clientes”. Cicerone racconta che tra i doveri dei clientes vi fosse anche quello della “salutatio matutina” a casa del patronus, per poi coralmente accompagnarlo lungo le vie della città, “adsectatio”, a dimostrarne plasticamente l’autorevolezza: più era consistente la folla dei clientes, più era riconosciuta l’influenza del patronus. Non molto è cambiato da allora. Da un discorso pronunciato negli anni Ottanta dell’Ottocento a Palermo dall’allora presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia Francesco Crispi: «Nel Parlamento (…) avviene spesso una specie di contratto bilaterale. Il Ministero dà le popolazioni in balia del deputato, purché il deputato lo assicuri del suo voto. Le nomine del prefetto, del pretore, del delegato di polizia, sono fatte nell’interesse del deputato, affinché si mantenga a lui l’influenza locale.

Bisognerebbe vedere il pandemonio di Montecitorio, quando si avvicina il momento di una solenne votazione. Gli agenti del Ministero corrono per le sale e per i corridoi, onde accaparrare voti. Sussidi, decorazioni, canali, ponti, strade, tutto si promette; e talora un atto di giustizia, lungamente negato, è il prezzo del voto parlamentare». Inutile girarci attorno, inutile fingere che una pratica millenaria possa essere sconfessata dallo statuto di un partito politico: politica e clientele sono, da sempre, un tutt’uno. Ed è ragionevole immaginare che sempre lo saranno. La vita e la carriera di un uomo politico dipendono, infatti, in buona parte dal suo radicamento nel proprio collegio elettorale, e il radicamento nel collegio elettorale si coltiva anche con i favori, con le raccomandazioni e con le opere pubbliche. Opere di interesse pubblico e questioni di interesse privato si intrecciano fatalmente. Sull’italico suolo, non c’è stata epoca storica in cui il potere legale non si sia politicamente strutturato grazie alla sistematica promessa di, appunto, “sussidi, decorazioni, canali, ponti e strade”. Ed è naturale che ciascun politico appunti prioritariamente tale attenzione sul proprio collegio elettorale. Francesco Cossiga amava ricordare che, dovendo puntare a un ministero in particolare, nel momento in cui si formavano i governi i più furbi tra i capicorrente democristiani non puntavano, per dire, ai blasonati Affari Esteri, ma alle proletarie Poste e Telegrafi. Il motivo? “Poter assumere migliaia di postini… ovviamente provenienti prevalentemente dal proprio collegio elettorale”. Persino il probo Alcide De Gasperi tenne conto degli interessi del “suo” Trentino quando nel dopoguerra si trovò a dover trattare con l’Austria le sorti dell’Alto Adige. Giulio Andreotti, oltre a rispondere personalmente a migliaia di lettere di postulanti, sempre assicurando, s’intende, il proprio scrupoloso interessamento, dedicava le ore a cavallo dell’alba al ricevimento dei clientes ciociari presso il proprio studio romano. E di ciascuno assecondava le speranze, gli interessi e le brame in uno scambio continuo e incessante di favori e di relative aspettative. Anni fa, andai in Sicilia per chiarire il mistero che avvolgeva l’unico dirigente politico degli allora Ds capace di prender voti sull’isola, Vladimiro Crisafulli. Scoprii, senza stupore, che applicava lo stesso metodo del democristiano Totò Cuffaro: ascoltava tutti, a tutti prometteva tutto, e la principale preoccupazione che lo muoveva era quella di convogliare risorse pubbliche per grandi opere infrastrutturali nella sua Enna. Così va il mondo, a destra come a sinistra. Famosa è la torsione verso destra che caratterizza l’Autostrada del Sole all’altezza di Arezzo, meglio nota come “curva Fanfani”. Un riconoscimento pressoché ufficiale al merito, o alla colpa, dell’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani e alla sua imperativa volontà di donare alla propria amata città natale un prezioso e assai gradito casello autostradale. Clientelismo? Volendo.

Ma anche rappresentanza politica, cura del territorio e sviluppo. La voce.info ha classificato come “clientelismo” persino la riforma agraria con cui nel 1950 la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi espropriò gli appezzamenti terrieri dei grandi latifondisti (800mila ettari complessivi) per distribuirli ai braccianti agricoli. Due punti percentuali: tanto guadagnò la Dc alle elezioni del 1953. Ma ciò non toglie che si sia trattato di una riforma di sistema che modernizzò l’Italia e ne consolidò, nella libertà individuale, il canone democratico. Altrettanto è difficile dire di quella che pure resta indiscutibilmente la più colossale e spettacolare operazione clientelare degli ultimi trent’anni: il reddito di cittadinanza varato nel 2019 e di lì in poi perennemente inastato dal Movimento 5stelle. Un atto politico che pur avendo lo stesso fine, il voto dei clientes, presenta natura ben diversa da quel dare udienza e, nei limiti del possibile, soddisfazione ai bisogni dei singoli membri, opportunamente “schedati”, di una comunità territoriale o politica che è tipico di quelli che oggi chiamiamo cacicchi. I voti, come le tessere congressuali, si guadagnano anche così. E non da oggi, da sempre. È per questo che, con l’introduzione del reato di traffico di influenze, la pretesa di dichiarare illegale quel che risulta naturale appare piuttosto irrealistica. Detta in altri termini: non sarà la legge Severino, che nella sua concretezza altro non rappresenta se non un incentivo all’arbitro dei pubblici ministeri, a raddrizzare il legno storto dell’umanità.

 

Huffington Post 

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