Hanno ragione gli storici a protestare, al di là di ogni pur legittima difesa lobbistica dei loro interessi: la scomparsa della traccia di storia fra i temi proposti nella prima prova scritta dell’esame di maturità è un brutto segnale. Non tanto per una non mai meglio definita possibilità di “perdita della memoria storica”, che nel nostro Paese è spesso selettiva e faziosa, quanto per la possibilità che si favorisca sempre più la perdita di un bene ancora più prezioso per quanto già oggi deficitario: il senso storico.
Si tratta di qualcosa che non consiste nel possesso di nozioni, né nella capacità (pur importante) di istituire paralleli e confronti, bensì di una sensibilità, una mentalità, una cultura, una consapevolezza, che, nel vedere e considerare in un certo modo le cose del mondo, serve prima di tutto alla nostra vita presente.
Segnando altresì la cifra più caratteristica della nostra cultura e civiltà occidentale. E, anzi, io credo, della cultura tout court. Dico subito, a mo’ di esempio, che le diffuse critiche a quella che viene definita l’incompetenza di massa dei nostri tempi non mi convincono prima di tutto perché esse vengono formulate, il più delle volte, proprio da coloro che hanno preparato il terreno e ora accompagnano la crisi culturale in atto: i rappresentanti della Mezza Cultura o midcult (per dirla con il sociologo statunitense Dwight Macdonald).
Costoro sono i fautori di positivismi e illuminismi vecchi e nuovi, di tutti i pensieri multiculturalisti ( o cultural studies, come vengono chiamati) e “politicamente corretti” che, in nome degli ideali di un’astratta Ragione, hanno mostrato e mostrano di avere in gran spregio la nostra storia passata, con le sue tensioni e contraddizioni legate al “naturale” evolversi della cultura umana.
Si pensi solo un attimo alla “distruzione di statue” che, da Cristoforo Colombo a Cecil Rhodes, viene proposta e spesso realizzata soprattutto nei paesi anglosassoni. Lo si fa in nome di sensibilità etiche presenti, quasi facendo semplicemente finta che il passato non sia esistito, segando in sostanza le gambe alla sedia su cui siamo seduti.
A ben vedere, gli stessi programmi e propositi senza senso e senza un fine coerente che vediamo e stigmatizziamo nei partiti e movimenti politici, idee ad esempio come quelle della “rottamazione” o del “cambiamento”, sono figlie di questa mentalità astratta.
Il senso della storia è senso della complessità e tragicità (cioè imperfezione) della vita. E, in quanto tale, si collega strettamente al senso politico che dovrebbe distinguere i veri politici e ancor più chi aspira ad essere uno statista.
Sperare in una retromarcia del legislatore è più che legittimo, oltreché assolutamente auspicabile.
Corrado Ocone, “L’Huffington Post” 10 ottobre 2018