Ancora una volta, attenzione: non farsi trascinare troppo dalla guerra santa contro le cosiddette fake news.
Attenzione: perché quando si comincia a invocare, persino nei vertici politici di un partito e in chi gli sta in cerchio, un fantastico «algoritmo verità» in grado di snidare le menzogne che si divulgano spavalde nella Rete, allora vuol dire che il pensiero si sta offuscando, che le plurimillenarie ricerche filosofiche sulla verità, da Platone a Spinoza a Kant, vengono declassate di fronte alla potenza smisurata di una nuova divinità chiamata «algoritmo».
Che insomma non prendere con un minimo di ironia questa scempiaggine dell’«algoritmo verità» vuol dire che se non siamo alla frutta, poco ci manca.
Quello che veramente sconcerta in questa febbre ossessionata da post-verità, fake news, menzogne social e altre suggestive scoperte è la mancanza assoluta di senso storico, la credenza superstiziosa secondo la quale staremmo vivendo in un inedito e mai visto «anno zero» della storia.
Credere che davvero decine di milioni di voti siano spostati da qualche account farlocco teleguidato da una misteriosa Spectre significa abbandonarsi a una deriva in cui le esperienze del passato non contano.
E ci si sente assediati da barbari che non ti seguono, non ti ascoltano, non ti votano e non per colpa tua, ma perché sono pilotati, manipolati, alienati, manovrati da un nemico assoluto.
Le esperienze del passato e del pensiero sono annullate.
Annullati i tormenti dei filosofi sulla nozione di «verità», così problematica, così maledettamente impervia e che ora dovrebbe essere risolta da qualche geniale esperto di algoritmi.
Annullate appassionate riflessioni sulla società di massa che hanno prodotto un sacco di libri da oltre un secolo a questa parte, sulla psicologia delle folle, sul ruolo del simbolico, dell’inconscio, dell’irrazionale, del passionale, dell’emotivo predominante nelle democrazie rette dal suffragio universale.
Annullata la storia di una semplice parolina che è la madre di tutte le fake news da quando esistono le campagne elettorali: propaganda. Un tempo c’erano nei partiti uffici appositi per curare la propaganda e la contropropaganda.
Perché i partiti, anche se erano degli elefanti ingombranti, appaiono ora molto più moderni di tutti i postmoderni che piagnucolano sulle nequizie del mondo web e spasimano per un algoritmo, spacciandolo per verità. [spacer height=”20px”]
Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 4 dicembre 2017