Senza soldi non si cantano messe, ma non bastano i soldi per saperle cantare. Sono inquietanti le due domande che, in rapida sequenza, si sentono fare a proposito dei fondi europei e della loro destinazione finale. La prima è: a noi quanti ce ne danno? La seconda: e come facciamo a spenderli? La premiata ditta: Bramosia & Incapacità.
Essere destinatari di più soldi è dimostrazione di potere e lubrificante del medesimo. Consente di rassicurare gli elettori dell’area e immaginare realizzazioni di più ampia portata. Da qui il disagio nel sentire che i soldi andranno più al Nord, come sono convinti al Sud, o al Sud, come sono sicuri al Nord, comunque non abbastanza al Centro, come sono persuasi in quelle lande. Di tutti questi argomentatori e lamentatori delle destinazioni geografiche ce ne fosse uno che abbia detto: serve fare l’acquedotto, costa tot e ci vogliono due anni, quindi datemi quei soldi che la smettiamo di sprecare l’oro blu. Non lo dice anche perché si passa alla seconda domanda.
A parte accaparrarseli poi bisogna spenderli, e qui più d’uno dubita di riuscirci. Perché manca il personale tecnico capace, si teme che la procedura s’inceppi, che i non favoriti ricorrano in sede amministrativa, che i tempi si dilatino, che ci si debba assumere delle responsabilità e che, a esito di cotanto cimento, i fondi debbano essere restituiti. Il rischio si corre ogni volta che s’approssima la scadenza dei piani europei, costringendo a corse precipitose per non perdere la pecunia, quindi sindaci, presidenti e governanti conoscono bene tale travaglio, ma qui le cose si complicano, perché essendo soldi nati non da ripartizione e alimentati da quelli che ciascuno ha versato, ma da assegnazione di regalo e prestito agevolato, quindi debito in capo all’Unione europea, il controllo circa la finalizzazione sarà non solo costante, ma occhiuto. E qui siamo messi peggio che agli esami di maturità, ove candidamente si dice che se uno non sa scrivere sarà meglio non fare lo scritto.
Considerato che per un buon numero di anni a venire un’occasione come questa non si ripresenterà e considerato che prendere soldi in prestito s’avvia ad essere più costoso, avvertiamo in noi stessi una certa inquietudine. Che ci spinge a dire: centralizzare e responsabilizzare. Quei soldi non devono essere assegnati, ma tradotti in investimenti. Se la macchina burocratica locale non è in grado di starci dietro, le si metta avanti una organizzazione centrale capace di riuscirci. Protesteranno, ma se ne faranno una ragione, perché sarebbe difficile raccontare ai cittadini che quei soldi si perdono perché li si voleva personalmente maneggiare.
Per quel che riguarda i soldi al Sud, mi sia consentita un’osservazione da terrone: il Sud è malato di trasferimenti, i soldi fanno male. Ne aggiungo una da italiano: ma mica solo al Sud, perché l’assistenzialismo è malattia epidemica diffusasi con velocità superiore a quella con cui risaliva la sciasciana <<linea della palma>>. Servono programmi, idee ed investimenti. I soldi siano solo strumentali alla loro realizzazione. In quel caso sarà un bene non per tutti gli italiani, ma per tutti gli europei: più mercato, più crescita e meno squilibri. Fuori da questo i soldi per finanziare il non lavoro, i soldi come quelli del reddito di cittadinanza, evoluzione demagogica delle pregresse false invalidità, servono solo a impoverirsi. Economicamente e moralmente.
Ergo, non ha nessuna importanza “dove”, ma è decisivo “in cosa” s’investe, passando dal “come” si gestisce. Il resto è cicaleccio politicante. A proposito: ci serve tantissima istruzione, il che comporta mettere soldi negli edifici e nelle reti telematiche, nel frattempo mettere in cattedra selezionando e non stabilizzando, talché si formi e selezioni chi siede fra i banchi. Costa poco e rende molto.
La Ragione